Per la 34° edizione del Giro del Trentino, in programma dal 20 al…
Dopo due anni di sostegno al progetto la Provincia rifiuta i 23 milioni di euro preventivati per finanziare l’evento e l’Università è costretta, a 10 giorni dalla decisione del comitato internazionale, a ritirare la candidatura. La ragione?” Mancano i fondi”. Ma la stessa somma viene trovata per un comprensorio sotto i 2000 metri. Per Luca Mercalli “un pessimo investimento sul piano ambientale”
Andiamo con ordine: due anni fa i comprensori sciistici delle valli di Fiemme e Fassa hanno chiesto all’Università di Trento di lavorare insieme alla candidatura per le Universiadi invernali del 2017. “Siamo stati ben lieti di partecipare – spiega il rettore dell’ateneo trentino – e ci siamo buttati nell’impresa con entusiasmo. Tutta la manifestazione avrebbe dovuto fungere da traino per il turismo e, se l’evento avesse avuto successo, sarebbe stato un buon viatico per sostenere una futura candidatura alle Olimpiadi invernali”. Le amministrazioni locali hanno sostenuto il progetto e il 19 novembre 2010 era stata inviata la richiesta ufficiale, da parte del Cusi (Centro universitario sportivo italiano), di partecipare alla gara di assegnazione. Alla fine la sfida per ospitare il più grande evento mondiale universitario di sport invernali è diventata una corsa a due tra il capoluogo trentino e la città di Almaty, in Kazakistan. Trento aveva preventivato un massimo di spesa intorno ai 23 milioni di euro, “da investire essenzialmente per l’alloggio delle delegazioni sportive, – aggiunge Bassi – per il rinnovamento di alcuni impianti sciistici e per la conversione di diverse strutture, in complessi maggiormente sostenibili sul piano ambientale e più virtuosi sul lato dei consumi energetici”.
Questi ultimi progetti, se portati a termine, avrebbero ricevuto finanziamenti dall’Ue. E 4 milioni di euro, secondo le previsioni del comitato, sarebbero rientrati tra sponsor e quote di iscrizione degli atleti e dei tecnici (previsti in oltre 3000 unità di cui ognuna avrebbe dovuto pagare 60 euro al giorno per 12 giorni di permanenza). Ci sarebbe poi stato tutto l’indotto proveniente dal turismo, dal grande afflusso di giovani sul territorio ed il ritorno, sul piano dell’immagine e in termini pratici di iscrizioni, per l’ateneo trentino. La Provincia, che avrebbe dovuto finanziare l’impresa, ha appoggiato la candidatura per un anno. In questo periodo si sono spesi 132.773 euro, come da quanto riferito in consiglio provinciale dall’assessore al Turismo Tiziano Mellarini, per ospitare sopralluoghi e mobilitare volontari e studenti in tutto il mondo per sostenere la candidatura. Lo scorso 19 novembre, a 10 giorni dalla decisione del comitato internazionale di Bruxelles, la Giunta provinciale ha cambiato idea: “In questo momento, segnato da un particolare contesto economico – si legge nel comunicato stampa ufficiale – l’esecutivo ha ritenuto opportuno puntare sull’edizione 2019, a fronte del rilevante impegno finanziario che l’organizzazione della competizione avrebbe richiesto”. Ma l’avversario da battere per la candidatura del 2019 sarà Sochi, cittadina russa che tra tre anni ospiterà le Olimpiadi invernali e che è, quindi, già attrezzata per ospitare un grande evento internazionale come le Universiadi. “E’ stato un vero peccato – commenta Davide Bassi – anche per l’immagine dell’Università. Io stesso sono stato a Shenzen, in Cina, con il comitato organizzatore, per promuovere il nostro progetto e metterci la faccia. Non discuto le scelte politiche. Forse, però, i conti si potevano fare un po’ prima e comunque non credo che 23 milioni di euro avrebbero inciso sul bilancio. L’università di Trento solo per il 2012 ha ottenuto oltre 19 milioni di euro in finanziamenti dall’Europa, per la ricerca. Probabilmente ha spaventato un futuro impegno per le Olimpiadi”.
L’ipotesi del rettore che si tratti di una scelta politica e non economica è in qualche modo confermata dallo stanziamento dei 23 milioni, pochi giorni dopo, dalla stessa giunta Provinciale. Una cifra da investire, appunto, sugli impianti della stazione sciistica della Panarotta, a quota 1970 metri. Un comprensorio che da tempo si cerca di rilanciare, ma che a causa della sua bassa altitudine, può contare raramente su nevicate abbondanti. “E’ questo – spiega Luca Mercalli, autore del libro “Prepariamoci” edito da Chiarelettere – un esempio di pessimo investimento di risorse. A quelle quote le condizioni climatiche saranno destinate ad un costante aumento delle temperature ed in futuro, salvo eventi sporadici, sarà sempre più difficile avere neve stagionale. Svizzera, Germania, Francia lo hanno capito da tempo e non investono più in strutture sciistiche sotto i 2000 metri. In Italia, per ottenere consensi e per miopia politica, ancora si fanno investimenti come questo. Solo per il fatto che parte di questi 23 milioni di euro sia destinato alla realizzazione di un bacino di accumulo d’acqua per l’approvvigionamento idrico necessario ai cannoni spara neve, dimostra che non c’è nessuna considerazione per lo sviluppo e la salvaguardia del territorio, ma solo tornaconto elettorale”. ilfattoquotidiano.it
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