Il volume, a cura di Argia Passoni, raccoglie gli Atti del Convegno svoltosi a cura della…
La presidente, Argia Passoni, mercoledì 28 agosto nel saluto d’inizio, ha sottolineato come la speciale apertura del Convegno con la presentazione della Enciclica Lumen Fidei ci pone nella condizione di richiamare al nostro cuore che la custodia del creato è parte integrante della nostra fede. Il rendere grazie del dono del creato, il custodirne la preziosità secondo l’intenzione buona dell’ “Altissimo Onnipotente Bon Signore” (S. Francesco) attiene alla nostra fede, così come vivere il creato quale spazio di fraternità con ogni creatura richiede quel cammino perseverante nella fede che solo può aiutarci ad abitare con sapienza la terra. Ha poi espresso viva riconoscenza al Parroco di Predazzo, per l’accoglienza data alla nostra proposta e per averla aperta a tutta la comunità parrocchiale; ed ha ringraziato il Comune di Predazzo per il Patrocinio concesso alla manifestazione ed al tempo stesso per aver condiviso la peculiare apertura con la Lumen Fidei, quasi a evidenziare che “la fede è un bene per tutti, è un bene comune”, come ci ricorda l’Enciclica.
Il parroco, don Giorgio Broilo, nel suo messaggio ha invitato i partecipanti ad ammirare le bellezze del creato, tra le quali spicca quella cattedrale naturale che sono le Pale di S. Martino, segno di una bellezza che parla di Dio. Il creato è la prima parola di Colui che è venuto a portare la sua tenda in mezzo a noi, il Verbo, che, insieme alle meraviglie della natura, ha creato la meraviglia più grande: l’uomo fatto a immagine e similitudine del Signore. Il Verbo ha assunto la nostra umanità per parlarci e per portare avanti la creazione. Dal modo con cui noi cristiani sapremo accogliere il Verbo, potremo costruire e continuare l’opera della creazione.
Don Massimo Serretti (docente di Teologia Dogmatica Università del Laterano) ha introdotto la presentazione dell’Enciclica “Lumen Fidei” avvertendo che si tratta di un documento da meditare, poiché in essa è presente un fuoco intangibile a una lettura epidermica: queste pagine non comunicano solo una dottrina, ma il mistero di Dio che si riverbera nella persona di colui che scrive. Nella nostra esistenza ci sono tante piccole luci che procedono da noi e che non sono in grado di illuminare la totalità della nostra esistenza. La luce che viene da Dio non neutralizza le luci piccole, bensì le ravviva. La fede, virtù teologale, consiste in un’azione effettiva che Dio compie in noi. Come nell’incarnazione così anche nella fede sono presenti il mistero di Dio e la realtà dell’uomo in cui Dio prende dimora. Dio sta alla porta e bussa, se gli apriamo Egli entra e sta con noi. Allora la nostra umanità fiorisce e si corrobora.. La luce della fede porta le nostre vite verso un adempimento. Viene dal passato, ma è anche memoria del futuro, poiché, essendo la fede una realtà divina eterna, quello che Dio sta compiendo è futuro che non passa, ma che è presente con continuità nella nostra storia. La fede vede nella misura in cui cammina. È’ camminare fidandosi di Dio, entrare in uno spazio aperto da Dio che ci promette la fecondità, come ad Abramo, nostro padre nella fede. Nell’Enciclica tutta la dinamica della fede è considerata nella virtù più grande che è l’amore. Nel suo aprirsi all’amore, l’esistenza si dilata oltre sé. Nella fede l’io del credente si espande per essere abitato da un Altro, per vivere in un Altro, e così la sua vita si allarga nell’amore. E la fede cambia il noi, introducendo una novità nella relazione, rendendoci così capaci di rispondere della nostra natura comunionale.
A conclusione della prima giornata, la Chiesa di Bellamonte ha accolto i partecipanti per la Veglia di Preghiera, guidata dal Parroco Don Broilo, “Alla scuola di S. Francesco cultore del creato” per immettere il Convegno in un clima di adorazione, di lode e di rendimento di grazie, in comunione con tutta la Chiesa Italiana nella prossimità della Celebrazione per la 8^ Giornata del Creato. (A cura della Redazione Rivista “Il Cantico”)
La seconda giornata del Convegno giovedì 29 agosto è entrata più direttamente nel tema guida “La custodia del creato come stile di vita: gratuità, reciprocità, riparazione” privilegiando l’ascolto della realtà locale, dello splendido territorio che ha ospitato il Convegno. Il titolo “custodia del creato come stile di vita” vuole ricordarci – ha sottolineato Argia Passoni introducendo i lavori – che non c’è prima la custodia del creato e poi gli stili di vita. La custodia del creato o emerge dal sentire il creato come nostra “casa” in senso profondo, e quindi è in grado di essere parte integrante della nostra vita, o al posto della custodia si insinua il suo contrario: la dissipazione del dono. La custodia richiede cura, vigilanza, discernimento, richiede una coltivazione continua di noi stessi per essere in questo orizzonte di amore e non decadere in un altro modo di rapporto: la natura vista come oggetto da sfruttare, materia inerte da consumare e non come “orma” dell’ Altissimo. Quanto l’indifferenza, l’insipienza, la trascuratezza possono dissipare e inquinare, quanto possono produrre in termini di cultura dello scarto invece che di fraternità, è sotto gli occhi di tutti noi. Diventa allora importante mettersi in ascolto dell’esperienza dove cominceranno a prendere consistenza anche le parole “gratuità, reciprocità, riparazione”, tre assi portanti della custodia del creato.
Il Sindaco di Predazzo Maria Bosin, dopo aver ringraziato la Fraternità Francescana Frate Jacopa per aver assunto questa iniziativa e Marilena Lochmann per essersi fatta carico dell’organizzazione a livello locale, si è soffermata a parlare di due entità caratterizzanti la storia della Valle di Fiemme: la Magnifica Comunità di Fiemme (1111) che riguarda tutta la valle e la Regola Feudale (1447) riguardante il paese di Predazzo. Si tratta di proprietà collettive nate da accordi presi col principe vescovo di Trento in base ai quali vennero definiti privilegi circa l’utilizzo del legname, delle acque, della caccia. Si volevano così colmare le lacune di un territorio impervio e difficilmente coltivabile, ed evitare lo spopolamento. La MCF e la RF non sono né enti di diritto pubblico né di diritto privato. Il giurista Grossi definisce questo tipo di proprietà come “un altro modo di possedere”. Mentre la proprietà privata indica qualcosa di cui disporre secondo il proprio arbitrio, un modo di gestire condiviso porta a scelte più oculate per preservare il bene collettivo, avendo sempre di mira la cura del patrimonio per il bene comune. Da questa gestione, che ha permesso di far sì che non esistessero situazioni di indigenza, è maturata anche un’idea del patrimonio pubblico come un qualcosa di “nostro”, e dunque da curare come “nostro”.
Giacobbe Zortea (Presidente del Parco di Paneveggio-Pale di S. Martino) ha illustrato le problematiche e il valore di un Parco come quello di Paneveggio che è diviso in riserve (integrali, controllate e guidate). Ogni Parco si può definire come un territorio di conflitti perché in esso sono presenti interessi ed esigenze diverse. Per garantire uno sviluppo sostenibile occorre trovare un’armonia fra tutte le esigenze e fare sinergia con le differenze culturali dei Parchi vicini, in vista di uno scopo comune. Stiamo svolgendo un’educazione a largo raggio (nelle scuole, con Convegni…) per incrementare una cultura favorevole a una buona politica ambientale e far percepire l’importanza di garantire una buona qualità della vita. Dal 2008 si sta provvedendo alla revisione del Piano del Parco per creare nuove opportunità senza inficiarne le peculiarità. Questo è possibile anche perché la gestione del Parco è affidata a un Comitato formato da rappresentanti delle amministrazioni comunali e della società civile. La carta vincente è dialogare. Nel territorio c’è coesione e sussidiarietà ed il volontariato è ben radicato. Questi sono buoni presupposti per poter consegnare ai nostri figli un territorio stupendo sotto tutti i punti di vista, come hanno fatto con noi i nostri avi.
Bruno Crosignani (Direttore Uff. Distrettuale Forestale di Cavalese) ha osservato come il concetto di custodia indichi protezione, difesa da azioni che mettono in pericolo l’equilibrio ambientale, ma implichi anche un’azione attiva dell’uomo. Oggi più del 50% della popolazione mondiale vive in agglomerati urbani. Vivere in un ambiente artificiale e affollato può produrre la perdita della capacità di riflettere, di meditare, di avere un rapporto con la natura reale. Le popolazioni vissute nelle Valli di Fiemme e Fassa hanno mantenuto per secoli la coscienza della necessità di usufruire dei beni naturali, senza perdere il senso del limite. Un inventario dei boschi della valle (conservato presso la MCF) attesta l’esistenza di una Commissione (composta da un emissario del Principe Vescovo di Trento, uno del Tirolo e uno della MCF) che dal 1787 al 1788 percorse ogni zona, per identificare quale potesse essere la quantità di legname detraibile per i successivi 150 anni. Purtroppo nel mondo oggi prevale un modo di utilizzare la foresta basato su standard tecnologici molto elevati, senza tenere conto che distruggere il legname significa anche rovinare il terreno provocando fenomeni di erosione. Nelle nostre valli fin dagli anni ’60 si è introdotto un sistema di utilizzazione del legname che crea ricchezza per la popolazione e per le industrie, avendo però la precauzione di preservare i beni territoriali e di limitare l’entità dei singoli tagli in modo che il piccolo danno fatto su una superficie venga bilanciato dalla permanenza del bosco nelle vicinanze e che “il taglio sia tanto grande quanto necessario e tanto piccolo quanto è possibile”.
A conclusione della giornata dedicata alla conoscenza del territorio, è stato presentato il libro “Gli orti di Predazzo. Una storia, tante storie”. Sono intervenuti l’Assessore alla cultura Lucio Dellasega e l’autrice Lucia Baldo. Questo libro racconta scene di vita paesana ambientate negli orti a metà del secolo scorso, quando il legame con la terra, mai venuto a mancare in questo territorio così pervaso dall’amore per la natura, incominciò a essere minacciato dalla mentalità del benessere che, pur portando innegabili miglioramenti nel tenore di vita, ha compromesso in parte l’integrità di un costume volto alla cura e alla coltivazione delle varie forme di vita nell’orto e fuori di esso. Un costume e un “sapere” che è urgente rimeditare, come è ben evidenziato nella Prefazione del libro dal teologo Simone Morandini. Alla presentazione è seguita la proiezione di slides su orti predazzani d’epoca allestita da Marilena Lochmann con il contributo dei fotoamatori Livio Morandini e Fabio Dellagiacoma. L’assessore ha ringraziato tutti per la preziosa collaborazione. (A cura della Redazione Rivista “Il Cantico”)
La terza giornata del Convegno venerdì 30 agosto si è articolata in due parti, la mattinata particolarmente dedicata a cogliere la complessa questione ambientale a livello globale, il pomeriggio particolarmente volto a cogliere la soggettività del rapporto col creato. La custodia del creato come stile di vita infatti – ha sottolineato Argia Passoni introducendo i lavori – richiama ad una profondità. Come ci ha ricordato Papa Francesco il custodire è vocazione fondamentale dell’uomo; rimanda a ciò che è fondamentale per la vita vera, altrimenti si deturpa il volto dell’uomo e del creato e abbiamo la distruzione e la morte. Il custodire rimanda a quella Alterità che ci costituisce e che ha voluto tutta la creazione per amore, e ha pensato ognuno di noi nella creazione come espressione del suo amore. Dunque la gratuità, il dono, sono un dato d’essere costitutivo del creato, di cui l’uomo è parte e in cui ha un compito specifico: rispondere del dono in una operosità generativa di amore perché il creato possa divenire spazio di vita, casa per tutti. Il custodire non può convivere con l’indifferenza e con la chiusura in se stessi, noncuranti dell’altro e della terra. Il custodire come stile di vita implica al contrario il confrontarsi in situazione: il confrontarsi oggi con la condizione di alienazione in cui l’uomo si è posto ritenendosi padrone e arbitro di tutto, il confrontarsi con l’etica utilitaristica dominante che ormai contamina tutta la nostra vita, tanto da abituarci allo scandalo della fame e a renderci corresponsabili di quella “cultura dello scarto” che macina uomini e cose e che depreda il dono della creazione addirittura mercificando i fondamentali beni di creazione (acqua, aria, sole, suolo). Occorre renderci conto per “riparare”: i relatori ci aiuteranno, con le loro competenze, a porci in una prospettiva di conversione offrendoci stimoli per individuare possibili passi personali e sociali di risanamento.
Rosario Lembo (Presidente del Comitato Italiano Contratto per l’acqua”), intervenendo sul tema: “Questione ambientale e beni comuni: quali risposte individuali e collettive?”, ha offerto un ampio quadro della problematica ambientale oggi. Secondo l’Agenda 21, il XXI secolo dovrebbe costituire la soglia massima entro la quale riparare i danni arrecati al pianeta da uno sviluppo sconsiderato, che negli ultimi 50 anni ha eroso più risorse di tutti i secoli precedenti. In realtà siamo molto distanti da questo obiettivo. Lembo ha poi elencato le categorie dei problemi che oggi attanagliano il nostro pianeta:
1) Problemi relativi alla Governance dei processi di sostenibilità globale;
2) Biodiversità, sicurezza alimentare, urbanizzazione, speculazione sull’accaparramento dei suoli;
3) Acqua, uso sostenibile delle risorse idriche e marine;
4) Cambiamenti climatici, assorbimento dei ghiacciai;
5) Problemi riguardanti l’energia e i rifiuti.
A questi problemi - ha aggiunto – non abbiamo saputo dare una risposta. Alla Conferenza Mondiale di Rio de Janeiro non è emersa una convergenza di orizzonti su come intervenire per attuare un modello di sviluppo sostenibile. Permane la non volontà di mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo. E in questo la maggior responsabilità è a carico dei paesi ricchi che risolvono il problema della scarsità delle risorse importando quelle di altri paesi anche in forma virtuale, come nel caso dell’acqua contenuta in prodotti provenienti da paesi lontani ai quali è stata sottratta. Di fronte a questi problemi prevale un atteggiamento di paura e di indecisione. Invece occorre risvegliare le coscienze e recuperare la propria identità di cittadini consapevoli di appartenere all’umanità, le cui sorti dipendono dalle risposte che tutti insieme sapremo dare.
Antonio Verga (Amministratore Delegato Centro Epson Meteo) è intervenuto trattando il tema: “Le sfide del tempo”. Ha elencato i principali indicatori del cambiamento globale del clima. Uno dei più evidenti è la diminuzione del 9% della neve nell’ultimo decennio. La natura ha al suo interno tanta energia che basta poco per rompere il suo equilibrio. L’aumento del calore porta più energia nell’atmosfera e così aumentano i fenomeni atmosferici più violenti e i cicloni tropicali più intensi si verificano in territori in cui non erano mai stati prima. Mediamente le piogge sono aumentate del 2% nel secolo scorso. Sappiamo che la temperatura media ha cominciato a salire già dal 1880 quando ancora l’uomo non aveva contribuito ad inquinare come fa oggi. Possiamo allora concludere che l’uomo non ha responsabilità e che può comportarsi a suo piacimento? Possiamo aspettare che l’attuale era di riscaldamento si risolva da sé, come è già accaduto in passato? O non è forse più ragionevole ascoltare i campanelli di allarme e chiederci cosa possiamo fare per non aggravare un processo già in atto? Certamente abbiamo la possibilità di evitare che esso si polarizzi nell’eccessivamente freddo o nell’eccessivamente caldo, nell’eccessivamente arido o nell’eccessivamente piovoso, nell’eccessivamente irrespirabile. La vera possibilità di intervenire nel processo di riscaldamento consiste nel cambiare mentalità… Un esempio di limpida volontà del genere umano (prodotta dalla paura) ci è stato dato dall’abolizione delle bombolette di lacca che avevano provocato il buco dell’ozono che ora si è ridotto. Con un simile atto di volontà potremmo evitare ad es. di costruire macchine che vanno velocissime o che vanno a benzina… Per concludere con un’osservazione che dia speranza, possiamo constatare che già da un anno il sole ci è venuto in aiuto. Esso ha meno macchie solari e perciò c’è un minor trasferimento di particelle sulla terra atte ad impedire la formazione di nuvole. Forse le nostre preghiere sono state accolte! Ma noi siamo chiamati a fare la nostra parte.
Dall’attenzione alla complessità sulla questione ambientale, il Convegno è passato a prendere in considerazione il mondo vitale per eccellenza, la famiglia. P. Lorenzo Di Giuseppe (docente di Teologia morale) ha proposto una lettura del Messaggio dei Vescovi per la 8° Giornata del creato: “La famiglia educa alla custodia del creato”. In un tempo in cui si vuole far apparire la famiglia priva di risorse, debole e insignificante, più che soggetto attivo di edificazione dell’umano, la Chiesa chiama la famiglia ad essere “scuola di umanità più completa e più ricca”, “fondamento della società”. Rispetto alla domanda “Come la famiglia può diventare una scuola per la custodia del creato?”, il Messaggio indica tre prospettive veramente interessanti: nella famiglia si vive la gratuità, la reciprocità e la riparazione del male. Queste tre prospettive riguardano la formazione dell’uomo, sono componenti della sua maturità. La famiglia è maestra di gratuità: riconoscere e vivere il dono è il suo volto e la sua identità. Nella famiglia si imparano le relazioni umane: composta da persone diverse ognuno deve vivere la quotidianità non sfuggendo l’incontro, la collaborazione, il dialogo. In famiglia si fa di tutto per riparare il male compiuto da noi stessi o dagli altri, con umiltà, spirito di servizio e di perdono. La conclusione è che educare alla custodia del creato è una formazione integrale della persona umana liberandola dalle strettoie della mentalità consumistica tutta incentrata sul guadagno e sull’uso devastante dei beni, e la famiglia ha risorse peculiari insostituibili per potersi muovere in queste direzioni di risanamento.
La Testimonianza di stili di vita per un nuovo vivere insieme” di Marzia e Ignazio Ciampi (Fraternità Frate Jacopa di Roma) ha dato voce alla famiglia. Parlare di stili di vita significa parlare di un percorso di conversione. L’essere cristiani e in particolare francescani ci ha portato a valorizzare il discorso della fraternità, della relazionalità, e dunque innanzitutto il favorire lo stare insieme in famiglia con i figli (leggere insieme, passeggiare insieme, avere insieme attenzione ai vicini …), il curare la sobrietà per contrastare il consumismo e far comprendere che non serve un oggetto materiale per stare bene, sempre orientando a scegliere secondo criteri di giustizia sia rispetto all’ambiente sia rispetto ai fratelli, il darsi tempo per avvicinare al creato facendo sperimentare la gioia anche di piccoli lavori all’aperto … Sono cose semplici ma importanti che vanno perseguite con costanza crescendo insieme in una educazione perseverante dove alcune regole fondamentali orientano il cammino e fanno percepire il senso del limite, così importante oggi. Per tutto questo – hanno concluso - è per noi di grande aiuto l’esperienza della fraternità e il poterci confrontare come fraternità di famiglie.
Loretta Guerrini (docente di analisi del film, Dip. Arti Visive, Università di Bologna) ha trattato il tema: “Valorizzazione francescana dell’ambiente. L’esemplarità di “Home” di Y. Arthus Bertrand”. Bertrand si propone di rispondere al fallimento delle strategie ambientali e ci vuole dire che è ancora possibile fare qualcosa. Il film “Home” non è una finestra sul mondo, cioè non dà immagini legate ad un’oggettività. Pur inquadrando elementi reali è costruito attraverso immagini che sono dei veri e propri quadri. In questo modo vuole rispondere alla domanda: “che cos’è l’ambiente in rapporto all’uomo?” Attraverso la struttura del racconto sviluppa argomenti diversi.
Il primo argomento esprime la meraviglia del pianeta-terra così vicino all’uomo. L’ambiente siamo noi. Attraverso il “gioco” della rappresentazione Bertrand dà una visione soggettiva del mondo: quello che vediamo riguarda il nostro stesso corpo. I fiumi sembrano le vene del corpo umano, gli alberi sembrano la rete del cervello… Filmando la terra dall’alto e a rallentatore il regista dà evocatività alle immagini. Rappresentandola attraverso il movimento in avanti della macchina da presa, crea vicinanza; andando verso l’alto dà un senso irenico e drammatico, aperiente. La voce di sottofondo, filtrata attraverso il respiro, collega l’interiorità con l’esteriorità. Con queste strategie il rapporto con l’ambiente richiama il rapporto con il nostro corpo. Allora il problema dell’ambiente ci consente di conoscere maggiormente i nostri problemi e di definire la nostra identità. La malattia del pianeta indica la malattia del corpo umano. Per cambiare il rapporto con l’ambiente occorre cambiare il rapporto col corpo, il modo di pensare attorno al corpo. Oggi è diffusa la visione cartesiana secondo la quale conta solo il “cogito”, mentre il corpo è solo un’esteriorità da soddisfare o da dominare. Il pensiero francescano, che ha introdotto in occidente la rivalutazione del corpo dell’uomo, ci può aiutare a cambiare mentalità, infatti S. Francesco vede il corpo come immagine del corpo di Cristo (Ammonizione V). Il Santo avverte la “preziosità” della natura oltre a quella della realtà corporea: i sassi diventano pietre preziose, l’acqua profuma, il fango diventa oro. E questa preziosità è espressa nel Cantico delle Creature. Il secondo argomento del film è la bios, la nostra origine. Il regista usa la cellula per rappresentare il microcosmo insieme al macrocosmo, così come ha fatto unendo l’interiorità dell’uomo con l’esteriorità. Suggestiva è l’immagine della terra che racchiude il cielo. In un tutto armonico il cielo è ritagliato tutt’intorno dalla terra che designa il corpo dell’uomo. Tale immagine indica nel trascendente la strada per salvare l’ambiente e per salvare la nostra identità che trova il suo campo espressivo nel corpo non oggettivato e non ridotto ad una macchina, come invece accade nella visione cartesiana. Dobbiamo perciò lavorare per definire la nostra identità!
Nell’ultima relazione del Convegno la Dott.ssa Maria Rosaria Restivo (Master Asa Università Cattolica di Brescia) ha presentato i passi per un nuovo stile di vita, a compendio del lavoro svolto in continuità con la Scuola di Pace Nazionale, incastonandoli nell’esperienza luminosa del Santo di Assisi. Ecco per tappe i punti più significativi:
* Dallo stupore alla coscienza: Educare lo sguardo allo stupore, ascoltare con umiltà la creazione, per prendere coscienza del dono ricevuto ed imparare ad abitare la terra.* Dalla responsabilità alla testimonianza. Rispondere del dono ricevuto ci chiede di convertire i nostri stili di vita per vivere nel mondo non da padroni ma da amministratori, divenendo protagonisti delle nostre scelte per ridurre l’impatto ambientale e muoversi in una direzione di sviluppo sostenibile. * Dalla sobrietà al bene comune. Liberare la vita dalla mercificazione ci chiama a prenderci cura del bene comune, ad alimentare nuove prassi di tutela dei beni di creazione per renderne possibile l’accesso ad ogni uomo e ad ogni popolo. * Dalla convivenza alla fraternità. Fare della convivenza una convivenza fraterna ci interpella a riparare la casa della convivenza umana, educandoci all’accoglienza, alla generosità e alla gratuità, valorizzando la famiglia come luogo per alimentare l’etica del dono e della convivialità, ripensando le regole della casa comune – il creato – per edificare con perseveranza la pace con tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Le conclusioni, affidate a P. Lorenzo di Giuseppe e al Dott. Rosario Lembo, hanno messo in evidenza che all’urgenza di un impegno per una ecologia ambientale si affianca oggi l’urgenza di una ecologia umana. Un impegno che il dott. Lembo ha concretizzato sotto l’aspetto di responsabilizzazione e di mobilitazione come cittadini, come cristiani o credenti, anche in termini di res pubblica, per sollecitare da parte delle istituzioni locali, nazionali nuove politiche di sviluppo e nuovi atteggiamenti nei confronti dell’ambiente e per contrastare il primato del denaro, della economia e della finanza sulla vita, su ogni uomo o essere vivente. Di fronte alla crisi ambientale è urgente e necessario evitare di cadere nel rischio della privatizzazione della nostra sensibilità ecologica riducendola solo a testimonianza personale. Occorre agire in termini di partecipazione e di responsabilizzazione collettiva. Questo impegno assume un rilievo ancora più forte per una comunità come la vostra fraternità francescana – ha ripreso il Dott. Lembo – che si richiama al grande messaggio a salvaguardia del creato di cui San Francesco d’Assisi rimane testimone nei secoli. Il Convegno sia di stimolo per far si che ciascuno di noi possa tornare a casa con rinnovata consapevolezza ed entusiasmo per mettere in pratica l’impegno personale e collettivo alla salvaguardia dei beni comuni della terra e del creato, affidati in gestione all’umanità. (A cura della Redazione Rivista “Il Cantico”)
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