Quinta tappa del Giro d'Italia 2009, partenza da San Martino di Castrozza e arrivo all'Alpe…
Clamorosa protesta dei corridori impegnati al Giro d’Italia del Centenario. Proprio nella tappa celebrativa di Milano, i ciclisti si sono fermati sulla linea bianca del traguardo a sei giri dalla fine per protestare sui rischi del circuito cittadino.
“Chiediamo scusa al pubblico – ha parlato a nome del plotone la maglia rosa Danilo Di Luca, vice-presidente dell’Accpi – ma oggi non ce la sentiamo di rischiare, perche’ il circuito e’ troppo pericoloso. Continuiamo la tappa, ma non ce la sentiamo di spingere a tutta”.
Gia’ la direzione di corsa aveva neutralizzato la tappa su sollecitazione dei corridori, decidendo di non assegnare distacchi e abbuoni per la classifica generale.
Pedro Horrillo, intanto si e’ risvegliato dal coma artificiale nel quale era stato posto ieri in seguito alla terribile caduta nella discesa dal Culmine di San Pietro. Il 34enne spagnolo della Rabobank, che in settimana sara’ sottoposto ad intervento chirurgico, ha riportato fratture a femore, ginocchio e vertebre ed e’ ricoverato agli Ospedali Riuniti di Bergamo.
Non canta neppure Zandegù. E se non canta neppure Zandegù, che canta sempre, significa che davvero stavolta non ci sono motivi per cantare. Il Giro è un grande paesotto vagante, come una famiglia allargata, che vive di gioie e di dolori, di crucci e di allegrie, a seconda di come la vita presenta i suoi conti. Ma poi arriva il giorno in cui sono tutti allineati sotto gli stessi pensieri penosi. Improvvisamente ci si ritrova in uno di quei giorni. Una persona della grande famiglia, lo scalatore spagnolo Pedro Horrillo, 34 anni, padre di due bimbi, al quarto anno di filosofia e per questo noto in gruppo come «il filosofo», è in condizioni gravissime all’ospedale di Bergamo. È un gregario, ma in situazioni come queste non esiste più distinzione tra gregario e campione: sono tutti uomini preziosissimi, con la propria storia unica e intoccabile.
L’incidente è spaventoso. Dopo settanta chilometri di corsa, lo vanno a ripescare con un elicottero, calando la fune in fondo a un burrone. Lavoro da soccorso alpino. Pedro è finito lì dopo un volo di cento metri, scendendo dal Culmine di San Pietro, strada semiabbandonata dal traffico quotidiano per via della sua tortuosità e della sua pericolosità. Carreggiata stretta, curve pericolose, pochi parapetti. Come piace dire a tanti seppiati dentro, strada per ciclismo d’altri tempi. Se ne può discutere. Opinioni.
Indiscutibile resta però la pericolosità della discesa, anche se non è questo il momento di fare caciara polemica, e anche se non bisogna mai dimenticare che il ciclismo resta di per sé, statistiche alla mano, lo sport più rischioso, perché sport di strada e di movimento, bellissimo e pericolosissimo come tutte le discipline avventurose dell’uomo. Pretendere di eliminare i rischi è ridicolo: per dire, il fratello di Coppi, Serse, morì cadendo sulle rotaie del tram, nel centro di Torino…
Horrillo non cade banalmente contro un marciapiede: vola da una curva lungo una strada impervia. Rispetto ai tempi di Serse Coppi, ha un aiuto in più: il casco. Proprio quell’attrezzo di lavoro contro il quale, alla sua introduzione obbligatoria, i corridori scioperarono, salvo accettarlo quando la federazione lo concesse come area per adesivi pubblicitari.
E comunque. La cosa più importante è che Horrillo, per diverse ore in coma, con fratture ovunque (compresa una vertebra cervicale), con uno pneumotorace, forse ce la farà. E subito dopo ce n’è un’altra, di cosa molto importante: è come il grande paesotto rosa assorbe l’apprensione e la tristezza dell’avvenimento, nel suo lento divenire, tra voci nefaste e bollettini medici che riaprono alla speranza.
Con decisione che gli fa molto onore, il patron Zomegnan chiede subito al festoso e sonoro apparato della carovana di spegnere l’allegria. Non ci sono balli e musiche, per un giorno, lungo le strade del Giro. Non è proprio il caso, mentre uno della famiglia sta lottando tra la vita e la morte. Per una volta, lo sport del doping, tacciato sempre di pelo sullo stomaco e malaffare, esprime tutta la sua vera umanità. Che resta tanta. Per una volta, almeno qui, non si sentono bischerate del genere «la vita continua», «the show must go on». Una volta le ho sentite ad Imola, dopo la morte in prova di un povero pilota austriaco. «The show must go on», dissero allora: il giorno dopo morì anche Senna. La verità è che queste belle frasi sono le foglie di fico dei cinici e dei leggeroni, della gente che ha due dita di cotenna sopra l’anima. Certo che la vita continua: difatti anche qui la corsa non si ferma, perché di cadute il Giro ne registra tutti i giorni e le notizie certe arrivano solo al traguardo. La vita continua, quando non si hanno notizie certe. Ma continua in un altro modo. La gente, la folla oceanica che sta sulle strade di questo Giro, non sa e fa il tifo. Ma la carovana, il paesotto, sa. E doverosamente, sensibilmente, decorosamente spegne la baraonda danzante. Non si stappa nemmeno lo champagne sul palco dei vincitori. Non è il caso, quel vino avrebbe un sapore molto amaro. Meglio abbassare il tono e il volume, mandando un piccolo segnale all’amico Horrillo, che sta correndo una gara durissima.
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