Il settimanale Famiglia Cristiana ha dedicato 3 pagine al Cristo Pensante delle Dolomiti nell’ultimo numero: il 31 del 31 luglio 2010 con un servizio dell’inviato speciale Alfredo Tradi.
Ecco il servizio:
Una calda serata di Luglio e ci siamo lasciati alle spalle Trento
avvolta nell’afa. Siamo a Bellamonte, in alta Val di Fiemme, altopiano dolomitico
sotto Le Pale di San Martino. Siamo venuti qui per incontrare
Pino Dellasega, ideatore del
Trekking del Cristo pensante (così lo trovate indicato nella segnaletica alpina partendo dalla Baita Segantini sopra il passo Rolle).
Pino ha 55 anni, è nativo di Predazzo dove vive con La moglie Chiara e le figlie Claudia (21 anni) e Angelica (15). Alle spalle di Pino un passato da campione di orienteering (gare di orientamento) e sci da fondo nelle Fiamme gialle.
Dopo cena Rita, atbergatrice dell’hotel Torretta di Bellamonte, ci anticipa qualcosa su Pino e la sua
impresa di portare sulla cima del Monte Castellazzo, 2.333 metri di quota, balcone di roccia affacciato su uno dei panorami mozzafiato delle Dolomiti le fantastiche Pale di San Martino la statua del Cristo pensante sotto una grande croce.
Impresa non facile. Pino ha dovuto, infatti, superare tutte le pastoie burocratiche e i vincoli di una zona “intoccabile” in quanto dichiara-
ta dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Ma dal giorno dell’inaugurazione, giusto un anno fa, il “suo” Cristo delle Dolomiti è visitatissimo. Moltissime famiglie e gruppi di giovani tra cui i focolarini: non lontano da qui infatti, a
Tonadico, nella Valle di Primiero (appena al di là del Passo Rolle),
Chiara Lubich, durante un ritiro spirituale (siamo nel lontano 1949) ebbe l’intuizione di fondare il suo movimento.
E proprio il Cristo pensante unisce due valli come
la Val di Primiero e la Val di Fiemme, un tempo storicamente rivali e ora coinvolte in iniziative comuni grazie ai direttori delle rispettive Aziende per il turismo, Bruno Felicetti e Piero Degonez, che hanno creduto nel “sogno” di Pino aiutandolo a realizzarlo.
La notte passa guardando le stelle fiorire e poi sfiorire nel cielo. E la mattina ecco Pino, puntualissimo — maglietta rossa e scarpe da trekking —‘ che dopo un buon caffè è pronto per accompagnarci sulla cima del Castellazzo. Prima, però, proietta per noi un breve,
suggestivo filmato che ci mostra con quali difficoltà la grande statua (oltre 20 quintali di marmo bianco d
i Predazzo) sia stata portata da un elicottero militare Chinook — enorme macchina da guerra per la prima volta in missione di pace — sulla cima del Castellazzo; e come la grande croce sia stata posizionata, non senza qualche brivido, nell’apposita piattaforma imbullonata.
Siamo sul sentiero, tra i rododendri fioriti. Le nuvole salgono come fumo dalle Pale di San Martino. Dalla Baita Segantini (quota 2.200) inizia il percorso che in un’ora e trenta porta alla cima; più in su il fischio delle marmotte e in lontananza il profilo della
Marmolada. Seguendo il ticchettio dei bastoncini da camminata nordica (nordicwalking) di cui ci ha provvisto Pino, dopo averci istruito sullo stile da seguire (una sorta di passo da sci da fondo), puntiamo diritti alla meta.
Si stringe il sentiero, rotolano i sassi bianchi di dolomia e si infittisce la colonna dei turisti- pellegrini che, giunti alla meta, anziché tirare fuori i panini estraggono la corona di tasca e si radunano intorno a due sacerdoti per la recita del rosario. Sotto la grande croce e lo sguardo pensoso di Cristo incoronato dai
resti del filo
spinato della Grande guerra — siamo tra i ruderi di una trincea — si fraternizza, come sempre si fa in montagna. Ma qui molto di più. È com se quel Cristo fosse un potente magnete che attira a sé e ci fa sentire parte di un’umanità unita sotto l’enorme volta azzurra del cielo.
È il sogno-intuizione di Pino che si realizza creare sul monti un luogo dove «trovare il tempo per pensare, trovare il tempo per pregare, trovare il tempo per sorridere» (è un frase di Madre Teresa di Calcutta).
Una ragazza ci racconta la sua storia tra le lacrime: la famiglia divisa, il fidanzato che l’ha lasciata, il suo desiderio di incontrare il grande amore, un abbraccio puro e immenso, solido come queste montagne. Nel rosario si prega per un bambino ammalato. Poi le fotografie a fianco di questo insolito Cristo che, così seduto, ai piedi della croce, si è fatto ancor più fratello, amico, compagno di cammino.
Cristo pensante è arrivato quassù grazie a Pino e alla sua caparbia volontà. Pino si sente solo strumento di un disegno più grande. Più grande di lui che nel passato si era abituato a fiutare solo la vittoria (17 titoli italiani 13 mondiali): «La mia vita era legata al cronometro, la montagna era solo una sfida: guadagnare ogni giorno qualche secondo in più sulle tabelle di marcia. Poi ho scoperto la montagna come luogo di pensiero, di contem
plazione. Fatta di segni da decifrare. Così, camminando qualche anno fa per la Val Venegia, incontrai un musulmano che, steso il suo maglione per terra, pregava rivolto verso la Mecca. Poco prima avevo visto un gruppo di frati salire con scarponcini e zaino per un’escursione. Ho messo insieme le cose. La sera stessa lo sguardo mi cadde su una statuetta di Cristo pensante che avevo porta trent’anni fa dalla Polonia. E scatta in me la molla. Il giorno dopo ero sulla cima del Monte Castellazzo con la statuina e una piccola croce tra le mani…».
Così è nato il Cristo pensante delle Dolomiti: una storia così bella da sembrare una leggenda na
ta tanti anni fa tra queste montagne. Un consiglio: andate a vederlo nell’ora magica dell’enrosadira, quando l’alba e il tramonto tingono di fantastici colori il
Cimon della Pala
ALFREDO TRADI
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