La nostra amica predazzana residente a Torino, grande sostenitrice delle cause dei malati sla, ci ha inviato un interessante articolo che pubblichiamo volentieri: Un derby fra Juventus e Torino per combattere la Sclerosi laterale amiotofrica. Alla fine di questa stagione o all’inizio della prossima. Una partita di solidarietà. Un messaggio forte contro una malattia fortissima, di fronte alla quale la scienza brancola nel buio. L’idea è di Michele Riva, malato di Sla e autore de «Il ramarro verde», un libro che è, soprattutto, un inno alla vita.Michele ha deciso di combattere. L’ho conosciuto nel web e l’ho incontrato il 9 dicembre all’ospedale San Luigi di Orbassano (Torino), nel corso di un convegno dedicato, appunto, a questo flagello che, bastardo com’è, consuma i pazienti lasciandoli lucidi. Un derby. Juventus e Torino nicchiano. Tifoso granata, Michele covava da tempo questa idea ed è rimasto impressionato dalla cornice e dal ritorno di immagine che ha avuto, di recente, l’esibizione di Firenze, tra Fiorentina e Milan, in onore di Stefano Borgonovo, un malato di Sla che dopo anni di silenzio ha deciso di uscire allo scoperto. In questi casi, anche se dirlo dall’esterno è facile, non bisogna aver paura di avere coraggio. Scrivere e parlare di Sla significa tenere alta l’attenzione sulla ricerca. Ognuno può, se crede, diventare microfono, megafono, pulpito. Il morbo di Lou Gherig colpisce i giocatori di calcio più di qualsiasi altra categoria di sportivi, come hanno documentato gli studi di Raffaele Guariniello. Le cause, ecco, rimangono misteriose. L’aggancio ai farmaci stimolanti e ai prodotti anti-infiammatori è vago, dal momento che se fosse davvero il doping la radice del male non si capisce perché ne debba essere esente proprio il ciclismo, sport ad alta pratica dopante. E allora?Micro e maxi traumi, pesticidi e sostanze tossiche per colorare i campi (di allenamento, soprattutto): gli scienziati tengono un profilo basso, le analisi arrancano, la soluzione sfugge e i calciatori colpiti, loro, preferiscono spesso non «partecipare», come se denunciare la Sla mettesse a repentaglio l’onorabilità della carriera. Michele non molla. Vuole il derby. Lo vuole non per sé, ma per tutti coloro che soffrono. Ha sensibiliazzato l’associazione che fa capo a Gianluca Vialli e Massimo Mauro, ha chiesto anche al sottoscritto di portare avanti la sua crociata. Gli offro volentieri lo spazio del «sassolino» e giro l’appello a tutti i lettori. Importante, in circostanze del genere, è la sensibilità, non il tifo. E se è vero che l’evento coinvolge le squadre di Torino, è vero altresì che il messaggio e lo scopo abbracciano tutto e tutti, non solo una parte di noi. Questa, almeno, sarebbe l’intenzione. Granata e juventini, interisti e milanisti, laziali e romanisti, genoani e sampdoriani: ripeto, stavolta non conta il colore della maglia, conta lo spirito. Un post, un messaggio, una firma da girare poi alle società interessate, affinché rispondano all’iniziativa di Michele. Meglio presto che mai, parafrasando l’antico proverbio. Mi raccomando: passatevi parola, tenete alto il sogno. Aveva 41 anni, Michele, quando è stato aggredito dalla Sla. Oggi, ne ha 49 e vive a Beinasco, in provincia di Torino. «Il ramarro verde» lo ha scritto con gli occhi e grazie un sofisticato (e costosissimo) apparecchio, sotto la regìa della giornalista Gabriella Serravalle. Il derby, per lui e per tutti gli altri come lui, non sarebbe una semplice partita: sarebbe una vera e propria terapia.
Presidente Cobolli Gigli, presidente Cairo: coraggio, fissate una data. Per Michele e per tutti quelli che hanno deciso di non arrendersi alle trappole del destino. La Sla non guarda in faccia nessuno. Sceglie a tradimento e si nasconde fra i muscoli. Anche un derby può aiutare a stanarla.
roberto.beccantini@lastampa.it |