La Cina “continua a usare la tortura in carcere”

Da il 18 settembre 2010

Pechino (AsiaNews) – La Cina “continua ad esprimere posizioni favorevoli ai diritti umani nell’ambito delle Nazioni Unite, ma queste sono solo di facciata.

Infatti, continua a ignorare ogni consiglio che le viene espresso e le raccomandazioni dei vari organismi internazionali sui vari argomenti. Come quello della tortura, che nel Paese rimane un problema serissimo”. È quanto scrive Renee Xia, direttore internazionale del Chinese Human Rights Defender (Chrd), in occasione della presentazione del quinto rapporto periodico alla Cina da parte della Commissione internazionale contro la tortura.

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Lo scorso 8 settembre, il Chrd ha presentato alla Commissione una lista di casi e situazioni da includere nella listada girare al governo cinese. In pratica, si tratta di una sorta di rapporto in cui la Commissione chiede conto agli Stati di casi specifici e legislazioni sospette; Pechino deve ancora rispondere alle domande poste nella lista presentata nel 2008. Come spiega proprio la Xia, “in quella lista chiedemmo conto di morti innaturali avvenute in prigione e della violenza contro gli attivisti per i diritti umani che vengono arrestati. Ma questi problemi sono persino peggiorati”.

Sulla carta, il governo cinese proibisce l’uso della tortura. La Costituzione e diversi articoli del codice penale si esprimono contro la violenza ai danni dei carcerati, e in segno di buona volontà Pechino ha permesso al Commissario speciale Onu contro la tortura, nel 2007, di visitare le carceri del Paese. Tuttavia, sono numerosissimi i casi di atrocità commesse in galera; come cortina di fumo, il governo centrale sta per promulgare una nuova legge che impedisce l’uso in tribunale di prove ottenute con la tortura. Ma, come sottolinea il Chrd, il testo è pieno di espressioni vaghe e linguaggi problematici, facilmente aggirabili sia in carcere che in tribunale.

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Più che le leggi, conclude il gruppo, “è importante vedere se e come queste vengono messe in pratica, anche perché spesso le autorità di pubblica sicurezza procedono di testa propria”. I casi a sostegno di questa accusa sono numerosissimi: nel novembre 2009, ad esempio, il governo centrale cinese ha condannato a meno di tre anni di galera quattro agenti di polizia, riconosciuti colpevoli di aver torturato fino alla morte uno studente liceale della provincia settentrionale dello Shaanxi. I quattro – fra cui un capo della polizia locale – sono stati condannati con l’accusa di abuso di potere: l’uso della tortura, da loro ammesso, serviva ad ottenere dallo studente una confessione.

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