GUERRA, FAME, DESOLAZIONE NEL NORD KIVU Un appello alla coscienza internazionale (Inviato da suor Delia…
Articolo inviatoci stamattina direttamente dal Congo precisamente da Bukavu.
PER UNA LETTURA DELLA REALTÀ DEL KIVU
Nel Kivu, all’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), è ripresa la guerra col suo corteo di atrocità e di persone sfollate. La posta in gioco: il controllo delle favolose riserve di coltan, un minerale molto ricercato e conteso da tutte le grandi potenze industriali. Il dramma della RDCongo, l’ex-Zaire, è la ricchezza del suo sottosuolo che trabocca di minerali strategici – rame, cobalto, oro, diamanti, uranio, coltan, cassiterite – che attizzano le brame dell’insieme delle potenze industriali, Cina compresa.
Il controllo sul coltan, le cui miniere a cielo aperto si trovano nella provincia del Kivu, è particolarmente al centro del conflitto che lacera di nuovo questa regione. Questo minerale, una volta raffinato, procura il tantalio metallico, largamente utilizzato nelle tecnologie di punta, particolarmente nella fabbricazione dei telefoni mobili, dei computer portabili e addirittura di reattori nucleari. Le truppe della ribellione di Laurent Nkunda che mettono oggi a ferro e fuoco il Kivu, sono dispiegate nelle zone dove sono concentrate le miniere di coltan.
Prossimo al presidente ruandese Paul Kagamé, che gli apporta un appoggio sostanziale, Laurent Nkunda, lo si ritrova implicato in tutti i combattimenti teleguidati da anni dal Ruanda in questa regione per, ufficialmente, neutralizzare i “genocidari” hutu, rifugiati nell’est della RDCongo. Ma in realtà, per fare mano bassa sulle ricchezze minerarie della provincia del Kivu, per conto di commercianti ruandesi, loro stessi in stretta relazione con numerose compagnie occidentali, tra cui delle società anglo-sassoni, belghe, tedesche, olandesi e svizzere, già citate in parecchi rapporti dell’ONU.
Certi osservatori stabiliscono, del resto, un legame tra la ripresa dei combattimenti da parte del CNDP (Congresso nazionale per la difesa del popolo) di Laurent Nkunda e la recente conclusione di un contratto minerario tra
la Cina e
la RDCongo, autorizzando le imprese cinesi a sfruttare delle miniere di rame, di cobalto, di oro e di coltan, in cambio della costruzione di strade, di ferrovie, di case popolari e di infrastrutture di cui l’ex-Zaire è così drammaticamente privo. Il 30 ottobre ultimo, Laurent Nkunda non si è sentito per nulla imbarazzato nel criticare pubblicamente la conclusione di questo contratto di circa 9 miliardi di dollari con
la Cina, confermando in tal modo come egli “faccia piuttosto il gioco” delle società occidentali.[1] Per questo, a proposito del Congo, è fuori luogo parlare, come fanno taluni, di “guerre etniche”, “guerre civili”: sono invece guerre che ci riguardano e la cui fine passa per una conversione della politica internazionale che metta finalmente freni all’economia di mercato, anziché mettersi al suo servizio.
Molti congolesi pensano che Laurent Nkunda non è l’uomo con cui bisogni trattare la pace nella provincia del Nord-Kivu. Stimano che la vera causa della guerra è economica e geostrategica, toccando gli interessi degli occidentali che sono i padroni della situazione.
Il capo ribelle “serve solamente come strategia di ricatto e di pressione contro Kinshasa che non ha saputo proteggere gli interessi degli investitori occidentali in RDCongo, particolarmente nel campo minerario”, afferma un deputato. Infatti, nel 2006
la RDCongo aveva beneficiato di un importante aiuto tecnico, logistico e finanziario da parte dei paesi occidentali per organizzare le elezioni. Ma alcuni mesi dopo la sua elezione, il governo di Kabila ha firmato una serie di contratti minerari con un gruppo di imprese cinesi accordando loro ampie possibilità di sfruttamento minerario in RDCongo, compreso il controllo su dei siti non ancora valutati, per quasi 10 miliardi di dollari e per una durata di 30 anni circa. Nel frattempo, parecchi contratti minerari firmati durante la transizione tra il governo congolese e degli investitori occidentali sono stati, invece, giudicati leonini e sono sottomessi oramai alla procedura di re-visitazione e di rinegoziazione, per “riequilibrare gli interessi”.[2]
L’offensiva del CNDP di Laurent Nkunda – iniziata il 28 agosto 2008 – infiamma il Nord-Kivu, essenzialmente due territori, quelli del Masisi e del Rutshuru, sui cinque che costituiscono la provincia. Tuttavia l’esercito regolare congolese è in rotta e
la MONUC, ogni giorno dà prova della sua inefficacia. E’ dunque grande il rischio di vedere il CNDP controllare molto presto un territorio più ampio, particolarmente verso il nord e il sud. La creazione di una “Tutsiland” con un’amministrazione parallela a quella dello Stato legittimo può essere un primo passo per cominciare a concretizzare la volontà espressa da Laurent Nkunda di “liberare il popolo del Congo rovesciando il governo di Kinshasa”.
Il progetto di Laurent Nkunda, per quanto possa sembrare esagerato, data la scarsa accettazione popolare riservatagli in RDCongo, ben risponde ai due obiettivi, mai abbandonati dal Ruanda sin dallo scoppio della 1ª guerra del Congo: l’installazione a Kinshasa di un alleato strategico e la balcanizzazione del Congo.
Ricco in risorse minerarie, il Kivu è diventato anche una terra di accoglienza per le popolazioni ruandofone, Hutu e Tutsi, sottomesse a una forte pressione demografica nei loro territori d’origine. Fin dalla 1ª guerra del Congo (1996-1997), il Ruanda, l’Uganda e il Burundi si gettarono sullo sfruttamento delle risorse minerarie e forestali del Kivu, organizzandosi in punti obbligati di transito per la loro esportazione.
Il Ruanda esercita la sua funzione di intermediario, di subappaltatore a profitto di altri attori internazionali. Si è constatato che il coltan estratto nel Kivu transita per il Ruanda verso l’Europa, il Belgio soprattutto, il Kazakistan o l’Asia (Tailandia, Giappone). Il coltan è poi rinviato verso i raffinatori occidentali, fra cui i più importanti sono l’impresa tedesca H.C Starck, una divisione del gruppo Bayer AG, e l’americana Cabot Corp. chi raffinano, da sole, tra il 75 ed il 85% del tantalio mondiale.
Paese-deposito per il quale transitano i minerali sfruttati nel Kivu, il Ruanda considera questa regione come una zona naturale di una sua espansione economica e auspica di poterlo integrare alla sua zona di influenza. Dopo la 2ª guerra del Congo (1998-2002) e l’accordo di pace firmato il 30 luglio 2002 tra il Ruanda e
la RDCongo, l’APR (esercito ruandese) dovette abbandonare il Kivu e dovette cessare di controllare il saccheggio delle risorse naturali, saccheggio che è, tuttavia, proseguito tramite reti di clientele fedeli, trafficanti e intermediari, gruppi armati, capi di guerra e politici, la cui lealtà al Ruanda riposa tanto su promesse di sostegno politico e militare che sulla spartizione delle risorse minerarie.
La milizia di Nkunda, il CNDP, è l’ultima e la più pericolosa associazione di criminali, di assassini, di contrabbandieri e di reclutatori di bambini-soldato arruolati con la forza. È grazie all’instabilità e al terrore, imposti nella regione da Laurent Nkunda, che il Ruanda e le multinazionali impediscono allo stato congolese di esercitare la sua autorità sovrana sulla provincia del Kivu e possono permettersi di sperare nella riuscita delle loro mire egemoniche sul Kivu.
Tenuto conto del controllo del Ruanda sull’economia locale, non si può che constatare, fin da ora, l’integrazione di fatto del Kivu nella sfera economica del Ruanda. Non resta più al Ruanda che finire il lavoro intrapreso da 10 anni: fare del Kivu un’entità in totale dipendenza amministrativa. In questa prospettiva, Nkunda installa poco a poco, nelle zone che controlla, un’amministrazione, una corpo di polizia che si sostituiscono a quelle dello Stato, come a Rutshuru, 75 km a nord di Goma, il 1° novembre. Annunciando, inizio ottobre, la trasformazione del CNDP in “movimento di liberazione totale della Repubblica” e chiamando “tutti i congolesi a mettersi in piedi contro il governo che ha tradito il suo popolo”, Nkunda allarga le sue ambizioni e tenta di attirare nelle file del suo movimento gli oppositori del presidente Joseph Kabila.
Tuttavia, l’azione di Nkunda è limitata ai territori che egli controlla e la sua dichiarazione non è stata seguita da nessun effetto in RDCongo, per una ragione evidente: l’uomo non ha nessun progetto politico coerente e le sue rivendicazioni hanno connotazioni etniche che lo fanno appartenere definitivamente al passato. Né il suo movimento, né lui stesso hanno un avvenire. Se esiste, è grazie alla complicità delle multinazionali, alla vigliaccheria della “comunità internazionale” e alla completa inefficacia della MONUC.
La “comunità internazionale” reagisce al dramma umano scoppiato nel Kivu mandando in Congo degli emissari in serie. Quando, a Kigali, il ministro belga De Gucht dichiara di avere “insistito presso il presidente Kagamé affinché continui a far valere la sua influenza moderatrice [sic] sul conflitto all’est del Congo, per (…) fare rispettare il cessate il fuoco tra tutte le parti belligeranti” e quando, nello stesso tempo, sempre a Kigali, la sottosegretaria di stato americano agli affari africani, Jendayi Frazer, dichiara di ammettere “che non c’è nessuna prova che il Ruanda sostenga Laurent Nkunda”, è permesso dubitare della determinazione degli emissari occidentali e dei mezzi messi in opera per riportare la pace e fare rispettare l’atto di impegno di Goma del 23 gennaio 2008.
Anche l’azione della MONUC appare ambigua e inefficace. Nessuno può negare la sua insopportabile vigliaccheria a Kiwanja, villaggio del Nord-Kivu, dove la popolazione è stata vittima di estorsioni e massacri da parte dei ribelli di Nkunda, il 6 novembre. A poche centinaia di metri, i caschi blu si sono trincerati nel loro campo, addirittura impedendo a chiunque di entrare, inclusi i civili in cerca di protezione. Questa carneficina – parecchie centinaia di morti in questo villaggio – è la prova che
la MONUC manca alla sua missione come definita nel Capitolo VII della Carta delle Nazione-Unite. Il che è inammissibile.
Il vertice di Nairobi II del 7 novembre ha preso in considerazione, in caso di necessità, la partecipazione dei Paesi della Regione alle operazioni di disarmo delle FDLR e delle truppe di Nkunda. Evidentemente, questo significherebbe introdurre il lupo nell’ovile con la benedizione dell’ONU. Non c’è nulla da sperare, infatti, dalla presenza nel Kivu di truppe ugandesi, burundesi e ruandesi, secondo l’esperienza della loro presenza nel passato sul suolo congolese. Questa proposta è un’ingiuria contro il popolo congolese e il suo governo; non potrebbe che trasformare il conflitto in una conflagrazione spaventosa.
Quale soluzione resta al governo congolese per debellare la ribellione di Nkunda e per ristabilire, una buona volta, la sua autorità sul Kivu? Idealmente, solo una pressione internazionale forte e diretta su Kigali, ad esempio mediante una sospensione degli aiuti bilaterali, del FMI e della Banca mondiale al Governo ruandese. Questi aiuti finanziano più della metà del bilancio di questo paese e la loro sospensione potrebbe obbligare Kagame a esigere da Nkunda la resa delle armi. Ma, per le ragioni rievocate prima – l’implicazione dei poteri occidentali nel saccheggio del Kivu -, questa soluzione è stata purtroppo scartata dalla stessa Comunità Internazionale.[3]
Finora, le FDLR sono sempre servite di pretesto per il Ruanda, per il movimento ribelle filo ruandese RCD e adesso per il CNDP per giustificare la guerra che impongono a intervalli regolari alla RDCongo. E’ per giustificare la presenza dell’APR (l’esercito ruandese) ai lati del Cndp che Kigali grida alla presenza dei pericolosi “genocidari” sul suolo congolese.
Le FDLR hanno sempre dichiarato di non sentirsi coinvolte nel processo di Nairobi, perché non erano state invitate. Malgrado ciò, esse affermano di essere disposte a rientrare in Rwanda, però a certe condizioni, particolarmente la tenuta di un dialogo inter-ruandese e l’apertura dello spazio politico per la democrazia in Ruanda. Un’operazione di rimpatrio volontario non può però avere luogo senza la cooperazione del Paese che deve accoglierli. Ma Kigali ha sempre riservato una risposta nettamente negativa a queste esigenze, considerando globalmente i ribelli ruandesi come dei “genocidari”. Un discorso che passa bene nella comunità internazionale.[4]
Il Ruanda ha sempre utilizzato la sempiterna presenza delle FDLR in RDCongo per giustificare le sue diverse aggressioni. Secondo un buon numero di osservatori attenti, il pretesto ruandese nasconde sempre peggio le vere motivazioni del potere di Kigali: continuare a fare man bassa su tutte le ricchezze del Kivu, creando una specie di zona franca, detta di non diritto, sul territorio congolese. Un numero crescente di analisti sono del parere che il regime ruandese e le differenti ribellioni di essenza Tutsi non s’interessino affatto dei combattenti delle FDLR. Lo si è visto col piano di Naïrobi: quando il Governo congolese ha intrapreso un’azione concreta per rimpatriare i ribelli Hutu con la collaborazione della Monuc, Kigali ha moltiplicato gli ostacoli pubblicando una lista di 6.000 “genocidari”, compresi dei bambini nati molto dopo il genocidio. Di fatto, la maggior parte degli osservatori sono concordi nell’affermare che, più che una minaccia, le FDLR costituiscono piuttosto un fondo di commercio per il Ruanda; il che porta addirittura alcuni osservatori ad accreditare la tesi di una tacita complicità tra Kigali e i ribelli Hutu delle FDLR.
Le Fdlr sarebbero un semplice pretesto per Kigali che non si è mai preoccupato di sloggiarli dal Kivu. Difatti, durante tutto il periodo della ribellione del RCD (dal 1998 al 2003), il Ruanda e i suoi alleati hanno controllato tutto il grande Kivu (Nord, Sud Kivu e Maniema) senza pervenire a sloggiarle. Inversamente, durante gli ultimi anni, il Ruanda non ha mai fornito una sola prova di un attacco delle FDLR contro il suo territorio. Al contrario, fanno notare gli osservatori, è
la RDCongo che soffre della presenza delle FDLR. Paradossalmente, è dimostrato che tutte le risorse minerarie saccheggiate dalle FDLR sono esportate illegalmente via il Ruanda. In questo caso, gli Hutu non sono più dei “genocidari”.
In definitiva, il regime di Kigali si oppone all’idea di vedere gli Hutu ritornare in patria a pieno titolo come cittadini liberi, perché un loro ritorno metterebbe in crisi il regime monolitico ruandese. Secondo il parere degli osservatori, ciò comporterebbe un’apertura politica alla quale finora Kigali rimane ostile. Del resto, le recenti elezioni legislative in Ruanda si sono svolte sul vecchio modello del monolitismo. Inoltre, il potere ruandese, i cui detentori hanno alienato i beni delle popolazioni Hutu, sarebbe imbarazzato dall’idea di vedere i proprietari di terreni e case ritornare e richiedere i loro diritti. Ecco perché, visto da Kigali, ogni Hutu è considerato come un “genocidario” in potenza. Di fronte a tutti questi elementi, la questione che nessuno si pone è quella di sapere fino a quando
la RDCongo e il suo popolo dovranno ancora continuare a pagare la fattura per un conflitto di cui non sono responsabili, essendo l’affare tutsi-hutu, prima di tutto, un affare prettamente ruandese che si svolge in territorio congolese.[5]
“La sola soluzione a cui le persone pensano sembra essere quella del ricorso alla forza militare. Ma nessuna soluzione militare permetterà di risolvere la situazione [nell'est della RDCongo] “, ha dichiarato ad IRIN Jan van Eck, ex deputato sotto il regime del Congresso nazionale africano, in Sud Africa e negoziatore da 12 anni nell’agitata regione del centro dell’Africa. In un articolo pubblicato nel novembre 2007, Van Eck aveva predetto un nuovo importante conflitto nell’est del Congo, malgrado gli accordi di pace firmati nel 2003, non avendo il Ruanda assicurato il pieno esercizio dei loro diritti politici agli Hutu rimpatriati, dopo essere fuggiti in seguito al genocidio del 1994. “Il conflitto che imperversa attualmente nell’est congolese trova la sua origine nei paesi vicini: il Ruanda, l’Uganda e il Burundi”, avevano scritto Van Eck.
Il genocidio ruandese del 1994 è riconosciuto come la follia omicida più spaventosa del ventesimo secolo. Secondo Van Eck, ciò ha suscitato un sentimento di colpevolezza nei 140 Paesi firmatari della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.[6] Questo sentimento di colpevolezza, secondo Van Eck, ha in grande parte protetto il presidente ruandese Paul Kagame dalla critica internazionale, ma se Kagame non autorizza la formazione di un partito hutu che non sia “anti-tutsi”, l’instabilità resterà una caratteristica onnipresente dell’est del Congo. “Finché il Ruanda non avrà liberalizzato la sua situazione politica interna e permesso una libertà di espressione politica ed etnica, resterà sempre oggetto di pressione da parte degli Hutu, soprattutto di quelli che sono profughi in RDCongo o membri della diaspora in occidente”, ha detto Van Eck.[7]
La decisione del Capo dello stato congolese di nominare il tenente generale Etumba al posto di capo di Stato Maggiore generale delle FARDC, è una buona cosa. “Si è sulla buona strada”, si afferma, ma “non è sufficiente. La situazione è talmente preoccupante che non sarebbe opportuno fermarsi a metà strada. E’ necessario in ogni caso operare dei cambi a livello di tutta la catena di comando delle FARDC, principalmente sul fronte militare, perché vi stanno succedendo cose davvero inammissibili. I salari dei militari sono sistematicamente oggetto di malversazioni e si afferma addirittura che lo sono proprio a vantaggio delle truppe del Cndp di Laurent Nkunda. Come spiegarsi che i salari e le razioni alimentari destinate ai militari al fronte siano continuamente deviati senza che si arrivi a punire i colpevoli? Come spiegare l’abbandono, sul campo di battaglia, di armi, munizioni e attrezzature militari, ricuperate poi dalle truppe avverse (i casi di Mushake e di Rumangabo sono sintomatici), senza che nessun ufficiale sia interpellato dalla Giustizia militare?
Come spiegare i casi di certi ordini di ripiegamento che, alla fine, non favoriscono che l’avanzata delle truppe avverse e provocano molti morti fra i soldati?[8]
Mal pagati o per nulla pagati, mal formati e mal equipaggiati, i soldati congolesi sono condannati alla miseria e, per questo, inclini ai saccheggi e alle estorsioni contro quella popolazione che dovrebbero proteggere. È urgente intervenire, perché il male è profondo e complesso, nella misura in cui ci si trova davanti a una specie di ragnatela intessuta in seguito a relazioni tra vecchi amici, ex compagni di guerra… insomma, si tratta di un affare fra “colleghi” che ha come sfondo il Ragguppamento congolese per la democrazia (RCD), sostenuto dal Ruanda durante la guerra di 1998-2003. Non c’è nulla di strano se, sul terreno delle operazioni, il vento non soffi in favore di Kinshasa, ma a vantaggio della ribellione di Laurent Nkunda.
Tutto è cominciato quando si è passati dal brassage al mixage come modalità di integrazione delle truppe ribelli nell’esercito nazionale, un’operazione che ha portato Kinshasa alla sconfitta. Nkunda ha voluto e ottenuto l’integrazione dei suoi soldati nell’esercito nazionale senza passare attraverso la mescolanza (brassage) delle sue truppe con le altre provenienti da diverse ribellioni, perché non ha mai accettato che i suoi soldati fossero mandati fuori dal Kivu. E’ così che si è proceduto al mixage Mediante questa operazione, i soldati di Nkunda sono stati integrati nelle unità delle Fardc già impiantate nel Kivu: una trappola per il governo.
In questo modo, quasi tutte le truppe provenienti dal movimento ribelle filo ruandese RCD hanno mantenuto le loro posizioni sul posto. “Raggruppati su uno stesso territorio, i militari provenienti dal Rcd non solo hanno mantenuto intatte le loro posizioni, ma hanno anche conservato l’intero arsenale di armi, se non l’hanno addirittura aumentato”, si è indignato un ufficiale militare che ha richiesto l’anonimato. Finora, accusa lo stesso ufficiale, è quello stesso vivaio che porta la marca del RCD, che occupa i posti più importanti nella pianificazione, sul posto, della guerra che contrappone l’esercito nazionale ai ribelli fedeli a Laurent Nkunda.
“Questi responsabili militari sono ancora in funzione, sempre con importanti responsabilità, anche quando si sa che sono alla base di tutti i “colpi bassi” e le sconfitte spesso sanguinose di cui sono vittime le FARDC sul fronte. È dunque necessario operare dei cambiamenti al livello della catena di comando militare sul fronte, mutando soprattutto tutti coloro che sono responsabili delle operazioni militari e intensificare la lotta contro l’impunità che ha eletto domicilio in seno alle FARDC.[9]
Di fronte agli sconcertanti avvenimenti che si susseguono nell’est della RDCongo, soprattutto nel Kivu, molti osservatori nazionali e stranieri sono del parere che bisogna accelerare, con tutta priorità, la riforma in seno all’esercito. A questo proposito, è già in corso un lavoro preliminare per conoscere il numero esatto dei soldati, per poter meglio gestire i mezzi che dovrebbero migliorare le loro condizioni di lavoro e di vita. Al momento della firma dell’accordo di Sun City, gli effettivi dell’esercito congolese erano 115.000. Questo numero è stato rivisto al rialzo durante la transizione, dopo l’integrazione dei vari gruppi ribelli nell’esercito regolare, raggiungendo un totale di circa 360.000 unità. In un ulteriore controllo, si è constatato che gli effettivi reali erano, in realtà, circa 120.000. Se questa cifra è esatta, ci sarebbero circa 240.000 elementi fittizi. Una questione fondamentale è quella di sapere come vengono utilizzati o in quali tasche si perdono tutti quei salari sbloccati a loro favore. Nel momento in cui si voglia accelerare la riforma in seno all’esercito, la padronanza dell’effettivo è una tappa molto importante, perché permetterebbe al governo di ricuperare i salari destinati a dei militari fittizi e dedicare le sue risorse finanziarie al miglioramento delle condizioni sociali e salariali dei militari realmente attivi.[10]
Una prima reazione sull’incontro di Jomba tra l’ex presidente nigeriano ed emissario straordinario del Segretario Generale dell’Onu, il generale Olusegun Obasanjo e il ribelle Laurent Nkunda è quella del senatore Henri-Thomas Lokondo, membro della Commissione per le relazioni esterne del Senato. Le immagini che ha visto e le dichiarazioni che ha sentito l’hanno terribilmente frustrato. Egli non nasconde la sua indignazione: “Sono convinto che Obasanjo è stato ingannato e messo in trappola da Nkunda: il passare in rivista le truppe del CNDP e l’abbrccio con Nkunda lo mettono, a mio umile parere, in una posizione molto delicata nei confronti dell’opinione congolese circa la sua neutralità…richiesta necessariamente in un mediatore inviato dall’Onu. Quando dice, a proposito del cessate il fuoco, che bisogna essere in due per danzare il tango, vuol dire, in altri termini, che si impongono dei negoziati diretti col governo. In questo modo, Obasanjo mette a dura prova le istituzioni legittime dello Stato, sorte dalle elezioni del 2006. Ben più, mette una croce definitiva sull’accordo di Goma e sulle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che ha riaffermato la sua fiducia nel Programma Amani come unico quadro appropriato per il dialogo politico”. Infine, secondo il senatore Lokondo, Obasanjo sembra contraddire la risoluzione 1794 del 21 dicembre 2007 che aveva chiaramente qualificato le truppe del Cndp di Nkunda di “milizia dissidente” e, conseguentemente, ne aveva richiesto il “disarmo da parte della MONUC”, allo stesso titolo che le FDLR e gli ex-Far/Interahamwe.[11]
Più che il colloquio propriamente detto, è quell’abbraccio tanto amichevole tra uno che non è altro che un ribelle e un emissario delle Nazioni Unite che fa problema. Molti osservatori si pongono la domanda: un mediatore inviato dall’ONU, e per di più ex-Capo di Stato, può permettersi di abbandonarsi nelle braccia di un insorto contro un regime legittimato dalle urne?. Terribile domanda. Olusegun Obasanjo non si è limitato a semplici convenevoli con Laurent Nkunda. I testimoni dell’incontro di Jomba non hanno precisato davanti a quale tipo di bandiera l’emissario speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite si è inclinato, quando ha passato in rassegna le truppe ribelli.
Obasanjo sembrerebbe dimenticare che il conflitto congolese, se c’è un problema interno, mette a confronto un regime sorto da delle elezioni e un insorto, responsabile di una catastrofe umanitaria senza precedenti! I congolesi che credevano conclusa la triste epoca del potere conquistato a punta di fucile, hanno vissuto in diretta la beatificazione internazionale di un uomo, il cui solo merito è il ricorso…. alle armi. Complimenti alla ribellione!
Un diplomatico africano in posto a Kinshasa ha parlato addirittura di una ‘perversione’ che non tiene conto né della legittimità del Governo congolese, né della suscettibilità di centinaia di migliaia di vittime della guerra scatenata da Nkunda. In ogni caso, numerosi diplomatici sono del parere che il presidente Obasanjo è uscito dai parametri della riservatezza diplomatica alla quale il suo statuto tuttavia lo obbliga.[12]
Attualmente si sente parlare spesso di negoziati diretti tra il governo congolese e il Cndp di Laurent Nkunda per mettere fine al conflitto. Il governo congolese è pronto a negoziare con Nkunda, ma solamente nel quadro del programma Amani, sorto dagli Accordi di Goma firmati, il 23 gennaio scorso, anche dai delegati del Cndp.
La RDCongo non è pronta a negoziare con Nkunda all’infuori del programma Amani, perché egli è notoriamente un agente di Kigali che ha delle mire territoriali sul Kivu.
Se molti congolesi continuano ad opporsi a questi negoziati, non è perché sono dei pazzi, degli estremisti o dei fanatici della guerra, ma perché sanno che, di questo passo, la fine della guerra sarà ottenuta solamente attraverso una forma di annessione del Kivu al Ruanda che sostiene la ribellione di Nkunda. La fine del conflitto sarà, in altri termini, solamente una tappa verso la balcanizzazione del territorio nazionale congolese. Ognuno che negozia sa che farà delle concessioni, ma sa anche che ne otterrà altrettante da parte del suo partner nella discussione. Ora, il regime ruandese non vuole cedere nulla, perché sa di disporre di un credito illimitato da parte della comunità internazionale. Tutti i dati sul campo sono in favore del Ruanda: il potere militare, il sostegno e la complicità della comunità internazionale, la prosperità economica derivante dal saccheggio delle risorse minerarie della RDCongo. Ma davanti all’uragano e alla tempesta della storia, maturo o non maturo, il frutto cade ugualmente. “La determinazione del popolo congolese per salvaguardare la sua sovranità nazionale e l’intangibilità delle frontiere gli permetterà di battersi pacificamente fino alla vittoria finale contro Kigali.[13]
[4] Cf Freddy Monsa Iyaka Duku – Le Potentiel – Kinshasa, 20.10.08 e L’Avenir – Kinshasa, 20-10-08
[5] Cf Forum des As, 24.10.’08
[6] Adottata nel dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in seguito alla Seconda Guerra mondiale ed entrata in vigore nel 1951, la convenzione obbliga i suoi firmatari ad agire davanti al genocidio.
[7] Cf Irin – Johannesbourg, 10.11.’08
[8] A Kiwanja, i partigiani Maï-Maï erano riusciti a respingere i ribelli del CNDP e i loro alleati ruandesi da questa località. Curiosamente, all’indomani di quella vittoria militare, degli ufficiali della 8 Regione Militare venuti ad ispezionare il fronte avevano dato loro l’ordine di ritirarsi, perché, conformemente al Programma Amani, è
la Monuc che dovrebbe incaricarsi di assicurare la sicurezza delle persone e dei loro beni. Solo alcune ore dopo il loro ritiro, Kiwanja era investito dai soldati di Laurent Nkunda che si sono dati al massacro della popolazione civile, passando di porta in porta.
La caduta della base militare di Rumangabo è una prova della menzogna e del tradimento da parte della gerarchia militare del Nord-Kivu. Verso metà ottobre, il primo attacco alla base militare di Rumangabo da parte del Cndp di Nkunda era fallito, anche se la radio RFI aveva già annunciato la sua caduta. Questo primo attacco era fallito, perché le Fardc lealiste della seconda brigata condotta dal Colonnello Kasongo, avevano difeso valorosamente la base militare. Mentre le Fardc assaporavano la loro vittoria, il 24 ottobre 2008, il colonnello Kasongo fu convocato e arrestato a Goma dalla gerarchia dell’ottava regione militare per violazione di consegna. La consegna era di non opporre resistenza all’attacco della base militare di Rumangabo, sotto pretesto del rispetto del cessate il fuoco. Un cessate il fuoco unilaterale. Alla fine di trattative, il colonnello Kasongo fu liberato ma senza alcuna funzione, il suo posto essendo stato occupato da uno pro-Nkunda durante la sua incarcerazione. È a questo momento che la base di Rumangabo è caduta nelle mani del Cndp.
A Kanyabayonga, il venerdì 7 novembre 2008, il colonnello Muhungura aveva ritirato i salari dei militari alla Banca Commerciale del Congo a Butembo, per poi rientrare a Kanyabayonga per pagare i militari. Ma con grande sorpresa dei militari, il colonnello Muhungura, non è mai arrivato a Kanyabayonga. Il colonnello Muhungura si era volatilizzato nella natura con i salari dei militari. È questo fatto, un salario annunciato ma mai arrivato, che è stato la causa immediata del saccheggio di Kanyabayonga, un saccheggio che le radio internazionali (radio-panico) avevano messo a carico delle Fardc, troppo paurose per affrontare il fuoco di Nkunda. Secondo parecchie fonti non ancora confermate, il Colonnello Muhungura avrebbe raggiunto il QG di Nkunda a Bunagana, Territorio di Rutshuru. (Cf Edgar Kahindo – Racodit-Butembo – Beni-Lubero Ondine – congoforum, 20.11.’08).
[9] Cf Le Potentiel 19/11/2008
[10] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 09.09.08
[11] Cf Freddy Monsa Iyaka Duku – Le Potentiel 18/11/2008
[12] Cf José NAWEJ/Forum des As – Kinshasa, 18.11.’08
[13] Cf Bomela tondo Bo-Lisoma Malko – L’Avenir – Kinshasa, 15.10.08
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