Le piste da sci dolomitiche sono pronte per ospitare una nuova edizione dell’ormai affermato Dolomiti…
Oggi lo puoi incontrare mentre spazza le strade di Predazzo, in Val di Fiemme. Nato il 4 aprile ’86, Lamin faceva l’organizzatore di eventi in Gambia, quando per motivi politici è stato costretto ad iniziare un viaggio durato 23 mesi in cerca di pace.
Le tappe.
Quando, per motivi politici, è costretto a lasciare il proprio paese, la famiglia, gli affetti e la sua vita, Lamin decide di raggiungere lo zio che gestisce un autolavaggio a Tripoli…
decide di partire per il viaggio:
Senegal, 9 mesi.
Qui Lamin lavora come venditore di Bin Bin, catenelle che le donne si legano per bellezza al ventre.
Mali, 7 mesi.
Lamin fa il giardiniere e coltiva verdure.
Niger, 4 mesi.
Lamin lavora duramente per pagarsi il viaggio attraverso il grande mare di sabbia, il Sahara. Una settimana aggrappati a un camion lanciato a folle corsa, con solamente una bottiglia d’acqua, un po’ di gari e dello zucchero, con la prospettiva che, in caso di caduta, di scorte insufficienti, malesseri o altro “it will be your business” (saranno affari tuoi).
Libia, 15 mesi.
Lamin raggiunge lo zio e lavora con lui. Sono mesi tranquilli fino al giorno in cui, durante una pausa pranzo con i colleghi in un ristorante, entrano alcuni uomini con i fucili spianati, chiedendo denaro ai presenti. Lamin viene picchiato selvaggiamente. Si ritrovò a terra, pestato, ringraziando di essere ancora vivo.
La decisione.
A seguito di quest’episodio, Lamin prende l’ennesima dura decisione: attraversare il mare, alla ricerca di un Paese in cui potersi ricostruire una vita, in cui non sia necessario guardarsi continuamente le spalle.
Mar mediterraneo, 3 giorni.
Lamin paga uno scafista e intraprende il lungo viaggio nel Mediterraneo. Le condizioni precarie mettono a dura prova il traghettatore che inizia a dare segni di delirio, lasciando gli occupanti del barcone in totale balia di loro stessi.
Sicilia.
Qui Lamin rimane alcuni mesi in uno dei centri di accoglienza più grande d’Italia, insieme ad altri ragazzi che erano sul gommone con lui.
Trentino.
Dopo qualche mese trascorso a Marco di Rovereto, il 21 aprile 2016 Lamin arriva a Predazzo, in Val di Fiemme.
Gli sembrava di vivere un sogno: mai, in vita sua, aveva assistito ad uno spettacolo simile. I delfini, tre in fila indiana, saltavano tra i flutti spostati dalla piccola imbarcazione in cui Lamin stava stipato insieme ad altre centinaia di persone. In quel momento tutto quello che gli era successo nei 3 anni precedenti sembrava solo la brutta storia raccontatagli da uno sconosciuto. Le persecuzioni e la fuga dalla sua terra natia, l’abbandono della famiglia e il lungo viaggio che lo portò dal Senegal alla Libia, dove si imbarcò per l’Italia.
Stavano navigando ormai da due giorni, troppi per un tragitto così breve, e anche i suoi compagni di viaggio l’avevano ormai capito: erano dispersi nel mezzo del Mediterraneo, e lo scafista dava ormai chiari segni di squilibrio. Succede, pensava, alle persone deboli d’animo che si trovano a vivere momenti così al limite, rischiando la vita ogni ora che passa. Si chiedeva anche se mai gli sarebbe successo di perdere la testa, dopo tutto ciò che aveva vissuto nel suo recente passato.
Decise di lasciare la Libia quando capì che lì non avrebbe ritrovato la pace e la libertà perse a casa.
La vista all’orizzonte di due veloci imbarcazioni che si stavano avvicinando alla loro barca lo riportò alla realtà.
Non era necessariamente un buon segno. Nel loro girovagare in quel braccio di Mediterraneo c’era il rischio che fossero arrivati al largo della Tunisia (il che sarebbe stata una tragedia), anziché in Italia. E questo era ben chiaro a tutti. Man a mano che le due barche si facevano vicine, la consapevolezza che fossero di nazionalità italiana era sempre più concreta.
“Sì! Sì! Sono barche italiane! Siamo salvi!!!” Fu solo per caso che le danze e le esultanze dei profughi non fecero finire qualcuno fuoribordo. Lamin rimase stupito dalla rapidità con cui così tante persone potessero essere trasbordate sulle due imbarcazioni della Marina Militare Italiana.
E, ripensandoci oggi, non può che sorridere pensando all’unico colpo di fortuna avuto nel suo lungo viaggio: pochi minuti dopo, infatti, i profughi vedevano quella che fu la loro piccola isola nel mare per 3 giorni, affondare.
Video e testo tratto da: http://www.hellofiemme.it/ceraunavolta/lamin/
Con i giovani dell’oratorio
Al lavoro come volontario del Comune di Predazzo
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Francesco Cavada
29 dicembre 2016 at 12:47
Europa dovrebbe aiutare di più all’ Africa per produrre nuovi industriali per dare il lavoro agli africani perché loro amano la terra africana stare vicino ai loro cari. Brasile funziona bene e Africa deve fare di più !!!! Non si può fare astistnzialismo eternamente.