L’obiettivo è quello di pianificare con i dirigenti tre corsi di formazione utili alla gestione…
Il punto d’ascolto disturbi del comportamento alimentare delle valli di Fiemme e Fassa, con il patrocinio del Comune di Predazzo organizza una serata informativa relativa alle dinamiche legate ai disturbi del comportamento alimentare tenuta dallo psicoterapeuta dottor Francesco Sbardellati.
I disturbi del comportamento alimentare purtroppo coinvolgono sempre più persone e l’età d’incidenza si abbassa, fare prevenzione tramite l’informazione e la sensibilizzazione è fondamentale per la cura e la presa in carico di tali disturbi.
Siete tutti invitati a partecipare, naturalmente la presenza è libera e gradita.
SPORTELLO PER I DISTURBI ALIMENTARI A CAVALESE
È il messaggio lanciato dall’Istituto Superiore di Sanità in un convegno organizzato per fare il punto sul ruolo dei genitori nelle dipendenze patologiche legate al cibo. Che colpiscono sempre più bambine a partire dai nove anni
Da imputata a risorsa. Così è cambiato il ruolo della famiglia nella gestione dei disordini alimentari. Se un tempo infatti era additato come causa scatenante di anoressia e bulimia e veniva estromesso dal percorso riabilitativo, oggi invece è proprio nell’alleanza con il nucleo familiare che si gioca la partita contro l’ossessione per il cibo che, nella forma del rifiuto o delle grandi abbuffate, risucchia pian piano la vita in una spirale di sofferenza. Perché uniti si può vincere la battaglia.
Questo è il messaggio chiave che Laura Dalla Ragione, direttrice della USL Umbria 1 per i disturbi del comportamento alimentare in età pediatrica e dell’età evolutiva di Todi, e Mariella Falsini, presidente di Consult@NOI, hanno lanciato il 6 ottobre 2016 all’Istituto Superiore di Sanità durante un convegno organizzato per fare il punto sul ruolo della famiglia nelle dipendenze patologiche.
«Quando parliamo dei disturbi del comportamento alimentare (Dca) parliamo di patologie molto gravi, che imprigionano in comportamenti ossessivi prevalentemente le giovanissime: una ragazza su dieci tra i 12 e i 25 anni. Stanno diventando però sempre più frequenti i casi di esordio della malattia ancora più precoce, tra bambine di nove-dieci anni, e sempre più numerosi i casi tra i ragazzi» commenta Dalla Ragione. «Anoressia, bulimia, binge eating disorder sono malattie devastanti che alla fine logorano tutti, mamma, papà, fratelli, sorelle, tra senso di colpa e di impotenza» aggiunge Falsini, presidente dell’associazione nazionale di familiari di persone con disturbi alimentari. Perché da un lato non si sa bene come fronteggiare la malattia, dall’altro ci si chiede inevitabilmente: «cosa ho sbagliato».
NON SENTIRSI IN COLPA
«Ma non lasciarsi travolgere dal senso di colpa è fondamentale, per sostenere al meglio il proprio figlio o la propria figlia nel percorso terapeutico» raccomanda Dalla Ragione. «Eppure fino a poco tempo fa noi genitori siamo stati additati quali causa predisponente e perpetuante della malattia e questo ha aggiunto dolore al dolore» racconta Falsini.
«Oggi invece è ormai assodato che i Dca sono malattie multifattoriali in cui giocano cioè un ruolo scatenante diversi fattori: familiari, psicologici, genetici. E che per far risalire la china al giovane paziente, il coinvolgimento della famiglia è fondamentale: perché l’alleanza tra familiari e terapeuti facilita il processo di guarigione».
NON MINIMIZZARE IL PROBLEMA
Anoressia, bulimia, disturbo da abbuffate compulsive sono malattie gravi e non un semplice disagio adolescenziale. È importante dunque non minimizzare il problema e non illudersi che con un po’ di volontà si possa tornare a mangiare normalmente. Insomma, non servono a nulla, se non a peggiorare la situazione, rimproveri, giudizi e punizioni per spingere il proprio figlio o la propria figlia a mangiare quello che c’è a tavola. È importante, invece, intraprendere un percorso terapeutico, tutti insieme, perché queste malattie corrodono l’anima e il corpo del malato ma attaccano profondamente anche chi gli sta attorno.
NON RIMANDARE LA TERAPIA
La tempestività delle cure è fondamentale e più tempestiva è la diagnosi, più tempestiva è la guarigione. Infatti, «se il disturbo è intercettato entro il primo anno di malattia, la probabilità di guarigione totale è molto alta» spiega la psichiatra Dalla Ragione. «Altrimenti, se si inizia il percorso terapeutico dopo anni ormai che l’anoressia o altri DCA hanno monopolizzato la vita del paziente, la guarigione è più lenta e non si possono escludere delle ricadute in futuro».
La terapia è multidisciplinare, e prevede incontri con psicoterapeuti e nutrizionisti, per lavorare contemporaneamente sul corpo e sulla mente. «Nel 60 per cento dei casi è sufficiente un trattamento ambulatoriale, cioè colloqui una o due volte alla settimana. In alcuni casi è necessario invece che il paziente trascorra gran parte della giornata in un centro diurno semiresidenziale fino ai casi più gravi per i quali è opportuno il ricovero in strutture residenziali, tipicamente dai tre ai cinque mesi. Sempre coinvolgendo la famiglia».
I CAMPANELLI DI ALLARME
È importante allora prestare attenzione ad alcuni comportamenti che possono essere campanelli di allarme. «Che il proprio figlio o la propria figlia si metta a dieta, di per sé non deve mettere in allarme un genitore. Lo fa la stragrande maggioranza degli adolescenti (il 70 per cento) e non tutti ovviamente sono a rischio di ammalarsi di anoressia o bulimia. Devono destare invece sospetti – avvisa Dalla Ragione – l’ossessione per il peso e la bilancia, per le forme del proprio corpo e lo specchio, un’attenzione smisurata per la quantità di cibo, l’improvvisa iperattività, ma anche l’irritabilità, il mal umore. Perché i Dca non sono semplici malattie dell’alimentazione, ma patologie psichiatriche: non cambia infatti solo il modo di nutrirsi ma il carattere, il modo di vivere in generale. Insomma sono delle malattie dell’animo».
«Il cibo infatti è la punta dell’iceberg» aggiunge Falsini, ricordando la battaglia che sua figlia ha vinto contro l’anoressia. «A un rapporto ossessivo con il cibo, si accompagna un progressivo isolamento sociale: pian piano la malattia spegne gli interessi che prima riempivano le giornate, ti allontana dagli amici, ti toglie il piacere e la libertà di mangiare una pizza in compagnia».
Per cui ai primi sospetti, il consiglio è di rivolgersi al più vicino centro specializzato.
«Può essere difficile per i genitori – spiega Dalla Ragione – accettare l’idea di non farcela da soli, ma è importante affidarsi a specialisti competenti». «Per fare fronte comune contro la malattia. Purtroppo, però, centri specializzati sui disturbi del comportamento alimentare sono presenti in Itala a macchia di leopardo» conclude Falsini.
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