PREDAZZO - Con voto unanime, il consiglio comunale di Predazzo ha approvato venerdì sera in linea tecnica…
“La reclusione in Val di Fiemme: frammenti di arte e di storia dalle antiche carceri della Magnifica Comunità”
con Silvia Delugan, collaboratrice del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina nell’ambito del progetto APSAT (Ambienti e Paesaggi dei Siti d’Altura Trentini) e responsabile del Progetto cultura della Comunità Territoriale della val di Fiemme
venerdì 28 marzo, ore 17.30 Museo Geologico delle Dolomiti – Predazzo ingresso libero
Il progetto “La reclusione in Val di Fiemme: frammenti di arte e di storia dalle antiche carceri della Magnifica Comunità” sarà presentato nel corso di una conferenza venerdì 28 marzo alle 17.30 al Museo Geologico delle Dolomiti – Predazzo. Come altri progetti sviluppati e condotti dal Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, il progetto prende spunto dal leitmotiv della cosiddetta scrittura popolare.
Una scrittura che – in questo caso – compare in un’accezione inedita per la singolarità del luogo, le carceri della Magnifica Comunità, diventate depositarie di una moltitudine di scritte, un articolato sistema di segni di varia natura, eseguiti con tecniche più o meno raffinate.
La ricerca si propone di indagare un tema ancora poco esplorato, legato al rapporto tra la comunicazione di natura visiva obbligatoria, “necessaria” all’interno di contesti complessi e marginali come le realtà carcerarie, e i linguaggi espressivi che i detenuti utilizzano, attraverso segni grezzi, genuini, spontanei.
L’obiettivo di un simile studio, condotto seguendo due linee di ricerca – lavoro sul campo volto a rilevare tutte le scritte realizzate dai detenuti e ricerca in archivio per corroborare i dati ottenuti – è semplicemente quello di sottolineare l’alto valore storico e antropologico di simili scritte che, oltre a essere un importante documento della conquista dell’alfabeto e di un suo uso quotidiano, sono anche testimonianze di uno spaccato della società fiemmese, quella dei delinquenti, il cui ricordo, forse perché non sempre gradito, sembra essere stato dimenticato. Scritture popolari che ricoprono le pareti delle celle raccontando un’autobiografia per segni e immagini e che, passando in rassegna i numerosissimi nomi, sembrano finalmente emergere dall’ombra del passato.
Gettando luce sul personale punto di vista dei carcerati, da sempre il più ostacolato a lasciare memoria di sé, quelli che fino a ieri apparivano ai più come “curiosi prodotti di grafomani”, diventando ora preziosi tasselli di una storia “altra”, alternativa a quella ufficialmente tramandata. Trovandosi in condizione di quasi totale isolamento, pur sapendo che i messaggi potranno difficilmente giungere a destinatari diversi da quelli presenti in cella, la speranza di coloro che decidono di scrivere probabilmente è che ciò avvenga lo stesso, magari in modo indiretto o nel corso del tempo. Emerge la volontà di “esserci”, di non far morire totalmente la propria personalità in un luogo che, invece, tende ad annullarla fin da subito.
Così intesa, la decisione di ridare voce ai reclusi, ricostruendo le loro vicende personali, si configura anche come un modo per restituire dignità a uomini semplici che, anno dopo anno, hanno lasciato dei segni tangibili della loro solitudine ma con la voglia di affermare la propria esistenza. Una vita che, come risulta evidente dalla tipologia dei reati, fu spesso sferzata dalla sfida continua contro la povertà e l’indigenza, nonostante la presenza di quel fortissimo esempio di unità e solidarietà che è tuttora rappresentato dall’istituzione dalla Magnifica Comunità di Fiemme.
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