Pochissime persone in tutto il mondo lo sanno, perché questo fatto è nascosto dall’industria farmaceutica…
In Italia c’è un fiume in piena di vecchi elettrodomestici, in particolare televisioni, che non si sa dove e come vada a finire. Molto male, secondo i risultati di un’inchiesta di Greenpeace: si perdono tonnellate di acciaio, ferro, rame, alluminio e plastiche che potrebbero essere recuperate. Contemporaneamente finiscono dove non dovrebbero sostanze pericolose come clorofluorocarburi, idroclorofluorocarburi, piombo, cadmio, mercurio, cromo esavalente, ftalati, policloro bifenili, pvc, berillio, diossine e furani e fosforo. Una bomba di veleni che buttiamo fuori di casa e, sotto altre forme, poi ci rientra. Complessivamente, a livello nazionale, vengono raccolte circa 157mila tonnellate di Raee (apparecchiature elettriche ed elettroniche) ogni anno. Questo dato si riferisce ai prodotti correttamente smaltiti. Degli altri non ci sono cifre precise, ma secondo una ricerca dell’ Ipsos i Raee «mal gestiti rappresentano il 55% del totale». Per quanto riguarda le apparecchiature informatiche ed elettroniche l’86% non viene ritirato dai negozianti: il 67% rimane inutilizzato mentre il 9% è trattato scorrettamente. Secondo una stima elaborata da Greenpeace i dati sono ancor più drammatici: i Raee smaltiti correttamente rappresentano sono meno di un quarto del totale. Gli altri, appunto, si perdono nel nulla, o meglio nell’ambiente.
Nell’ultimo anno il 70% degli italiani è passato al digitale terrestre, migrazione che ha comportato l’acquisto di quasi sei milioni di nuovi apparecchi e l’abbandono di altrettanti modelli, quasi tutti a tubo catodico. Sono due le soluzioni per liberarsi correttamente dei vecchi elettrodomestici e non alimentare quel fiume di spreco e inquinamento che in Italia continua invece a scorrere. Ma entrambe queste strade sono in salita, molti non arrivano in cima e così pc, tv, frigoriferi e lavatrici, rotolano a valle in ordine sparso.
RITIRO GRATUITO – Prima possibilità: acquistare un nuovo elettrodomestico e far ritirare gratuitamente il vecchio dal rivenditore. Questa soluzione dovrebbe essere semplice: è tutto previsto da una legge, nota come decreto “uno contro uno”, entrata in vigore lo scorso 18 giugno ma ancora poco nota. L’obbligo gratuito del ritiro a domicilio del vecchio elettrodomestico è espresso senza possibilità di dubbi: è una bella idea, ma nella metà dei casi rimane sulla carta. Greenpeace ha visitato 107 negozi di rivenditori elettronici, in 31 città italiane, appartenenti alle cinque catene di distribuzione che detengono il 70% della quota di mercato. Tra questi il 12% non effettua per niente questo servizio, il 25% aumenta il costo di consegna con l’equivalente che costava prima il ritiro, il 14% lo effettua solo se il cliente porta in negozio il vecchio prodotto.
CONSEGNA INDIVIDUALE - Seconda possibilità, per chi non acquista un nuovo prodotto e vuole comunque liberarsi di quello vecchio: deve portare direttamente il proprio elettrodomestico in un Cdr, centro di raccolta comunale o gestito in licenza da privati che, in aree attrezzare specificatamente, raccolgono i rifiuti per tipologie omogenee, in modo da consentire il recupero o il corretto smaltimento. Ma anche questa strada risulta altrettanto impervia: il 40% dei Cdr monitorati in otto regioni italiane “non rispetta per nulla i requisiti di legge” mentre un altro 40% non “è completamente conforme alla normativa”, come è scritto nel dossier di Greenpeace.
LA COMMISSIONE EUROPEA - I risultati di quest’inchiesta sono finiti sotto gli occhi della Commissione europea, contenuti in un’interrogazione presentata dall’eurodeputata Sonia Alfano. La risposta non si è fatta attendere. Il Commissario per l’Ambiente Janez Potocnick ha detto che: «la Commissione ha chiesto alle autorità italiane competenti di fornire informazioni in merito».
I RIVENDITORI – Intanto parla l’associazione dei rivenditori degli elettrodomestici. Il presidente Davide Rossi, riconosce che in questi primi mesi di applicazione del decreto “uno contro uno”, ci sono state indampienze nel servizio di ritiro. «Ai nostri associati abbiamo dato indicazioni chiare. Dal 22 marzo abbiamo anche distribuito un video che spiega agli utenti i loro diritti e come deve funzionare il servizio». Dopo aver riconosciuto questi limiti però Rossi sottolinea che fino ad ora lo svolgimento di questo servizio è costato ai suoi associati quasi 20 milioni di euro «spesi per la carenza o l’inefficienza dei Centri di raccolta. Per dirlo in modo chiaro il decreto scarica su di noi, senza darci un euro di finanziamento, un servizio di smaltimento che va ben oltre le nostre possibilità. Mi spiego: se ci fossero piazzole Cdr relativamente vicine e con orari adatti, questo servizio avrebbe un costo ragionevole che saremo anche in grado di sostenere. Ma visto che molto spesso si devono fare decine di km per raggiungere questi centri, a volte anche al di fuori dal comune di riferimento, diventa un’attività per noi proibitiva. Questo limite è stato riconosciuto anche dalla Commissione Ambiente della Camera, ma l’orientamento del Governo per ora non è cambiato».
Stefano Rodi
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