Riflessione aperta di Alessandro Arici e Charlotte Maingard Arici Premetto che da più di 20…
Balotelli è pronto a scendere in campo per sostenere le battaglie del nuovo ministro per l’intergrazione Cecile Kyenge. Supermario si è infatti reso disponibile a fare da testimonial per una campagna in favore dello ius soli. «Sono sempre disponibile» per la lotta al razzismo e alle discriminazioni, ha detto l’attaccante del Milan. - Balotelli, nato a Palermo da genitori ghanesi, ha ricevuto la cittadinanza italiana solo con la maggiore età.
Ieri, durante un incontro con la Federazione delle chiese evangeliche al Quirinale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato: «Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». Le parole di Napolitano sono state accolte con favore dal ministro alla Cooperazione Internazionale e all’Integrazione Andrea Riccardi («Senza questi ragazzi il nostro Paese sarebbe decisamente più vecchio e avrebbe minore capacità di sviluppo»), dal Partito Democratico e anche da quelle associazioni (prima fra tutte Rete G2) che da anni si battono per la cittadinanza dei minori. Di tutt’altro avviso, come prevedibile, sono stati Lega Nord e PdL. Roberto Castelli ha parlato di «esternazioni al limite della costituzionalità», Roberto Calderoli si è dichiarato pronto a fare «le barricate in Parlamento e nelle piazze» e Ignazio La Russa ha spiegato che «la cittadinanza è estranea all’emergenza economica» e «che così si fa cadere il governo». Le parole di Napolitano hanno riaperto la discussione pubblica su un tema di cui si parla poco, nonostante sia cruciale nella definizione dell’Italia del futuro: l’attribuzione della cittadinanza.
“Ius sanguinis” e “Ius soli”
Esistono tradizionalmente due sistemi di trasmissione della cittadinanza alla nascita. Uno viene chiamato “ius soli”, il diritto che si acquisisce per nascita su un territorio e indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori, secondo cui chi nasce in una nazione è cittadino di quella nazione. Il sistema storicamente è stato adottato soprattutto da quei Paesi che sono stati interessati da una forte immigrazione e che possiedono un’ampia superficie territoriale (Canada, Stati Uniti, Brasile, Argentina). L’altro è lo “ius sanguinis”, il diritto di sangue, secondo cui la cittadinanza si trasmette dai genitori ai figli, al di là del luogo in cui questi nascono. Il sistema si ritrova, a tutela dei discendenti, soprattutto in quegli Stati che hanno una storia di emigrazione: tra questi, anche l’Italia. Attualmente, la maggior parte degli Stati europei adotta lo «ius sanguinis» ma con norme meno rigide che in Italia.
Come funziona in Italia
La cittadinanza italiana è oggi basata sullo “ius sanguinis”, il diritto di sangue, e non prevede lo “ius soli”, il diritto che si acquisisce per nascita sul suolo italiano indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. La condizione giuridica dei bambini figli di immigrati nati in Italia è quindi strettamente legata alla condizione dei genitori: se i padri ottengono la cittadinanza (dopo dieci anni di residenza legale) questa si trasmette anche ai figli per “discendenza”. Acquisisce la cittadinanza italiana anche chi è nato in Italia da genitori ignoti o apolidi, il figlio di ignoti trovato nel territorio italiano di cui non è possibile provare il possesso di altra cittadinanza, lo straniero residente da tre anni o nato in Italia con ascendenti diretti italiani, lo straniero maggiorenne adottato da italiani e residente da cinque anni in Italia.
In Europa
In Germania se uno dei due genitori vive legalmente sul territorio da almeno 8 anni può concedere al figlio il diritto alla cittadinanza al momento della nascita. In Irlanda bastano o tre anni o un permesso di residenza permanente da parte di uno dei due genitori. In Belgio la cittadinanza è automatica a diciott’anni se si è nati nel Paese, o entro i dodici mesi se i genitori sono residenti da dieci anni. In Portogallo è prevista la naturalizzazione alla nascita se o la madre o il padre hanno risieduto nel Paese dieci anni, solamente sei se provengono da un Paese di lingua portoghese. La Francia, in questo panorama, costituisce un’eccezione: qui lo “ius soli” vigeva del 1515 e si è progressivamente attenuato. Ora la legge prevede che per i bambini nati da genitori immigrati si possa richiedere la cittadinanza entro il compimento del tredicesimo anno. A sedici anni può chiederla il ragazzo stesso. Per i maggiorenni nati e vissuti per diciotto anni in Francia c’è invece l’obbligo di prendere la cittadinanza francese.
Le proposte di legge in Italia
Per avvicinare l’Italia al resto dell’Europa, due anni fa i deputati Andrea Sarubbi (PD) e Fabio Granata (finiano, ma ancora col PdL al momento della firma) presentarono una proposta di legge bipartisan bloccata a gennaio 2010 dalla Lega e dalle preoccupazioni di non mettere al centro della campagna elettorale per le regionali la questione dell’immigrazione. La proposta prevedeva l’acquisizione della cittadinanza per nascita attraverso alcuni requisiti: essere maggiorenni, trovarsi in Italia da almeno cinque anni, superare un test di integrazione civica e linguistica e fare un giuramento sulla Costituzione. Poteva diventare italiano, poi, chi era nato da genitore soggiornante in Italia da almeno cinque anni o un minore straniero che avesse completato un ciclo di studi. In questa riforma, dunque, contava di più la condizione di nascita in Italia più della discendenza: un sistema di “ius soli” temperato. Dopo le parole di Napolitano il PD ha annunciato una legge che, superando la proposta Sarubbi-Granata, preveda l’applicazione non temperata dello “ius soli”: il diritto di cittadinanza dovrebbe essere acquisito per nascita e il minore figlio di genitori stranieri la potrebbe acquisire automaticamente al termine di un ciclo completo di studi in Italia (elementari, medie, superiori).
In questa intervista prima della sua nomina Kyenge svela particolari inediti sul suo impegno di vita e sulle sue priorità
Da ormai 9 anni è “salita” in politica, da dove è nato questo impegno?
Il mio impegno è nato conseguentemente al mio impegno nell’associazionismo, mosso dall’intento di dare voce ai più deboli. Un percorso nella società civile che ha rappresentato un’opportunità di crescita, tanto che in poco tempo sono passata alla politica. Ho iniziato spinta da una cara amica. È parlando con lei che è maturato in me l’entusiasmo di lavorare dapprima nel settori volontariato, cooperazione internazionale, cultura e sanità. Da qui sono passata in circoscrizione, facendo un lavoro capillare sul territorio e portando avanti, con il sostegno della società civile, molte battaglie sui temi dei diritti universali e dell’immigrazione.
Ci sono stati momenti più salienti, di svolta, di comprensione?
Direi di no, quello che ha sempre prevalso è la passione della quotidianità: ogni passaggio è stato importante nella mia formazione personale e politica e questo ha fatto sì che il mio percorso andasse sempre verso il meglio verso un accrescimento delle mie competenze.
Per cosa si è battuta di più, in che ambiti?
Mi sono impegnata soprattutto nell’immigrazione, nella cultura e nella sanità e in senso più largo nella lotta per garantire l’estensione dei diritti fondamentali di ognuno. È stato sempre centrale per me raccogliere i temi che emergevano dal confronto con la società civile; sento che fare politica è tradurre queste voci in proposte politiche capaci di cambiare le leggi, la cultura e la politica stessa.
Crede che la sua “differenza culturale” abbia condizionato il suo impegno, rendendola maggiormente sensibile a ingiustizie e discriminazioni?
A rendermi sensibile alle discriminazioni sono stati il mio vissuto personale da migrante e il mio percorso politico. Non credo che si possa parlare di differenza culturale, se mai di valore aggiunto di questa presunta differenza. Ognuno di noi porta in sé identità plurime, dunque si può parlare solo delle numerose culture meticcie che tutti ci portiamo dentro, indipendentemente dalla terra di origine, poiché l’identità personale si forma nel confronto con l’altro.
Varare una legge per i diritti di cittadinanza dei cittadini stranieri è veramente un punto di partenza così importante?
L’estensione della cittadinanza è un riconoscimento di fatto di ciò che è già cambiato nel paese: ci sono quasi un milione di minori figli dell’immigrazione, residenti stabilmente in Italia e di questi oltre 570.000 sono nati nel nostro paese e più di 600.000 frequentano le nostre scuole. Un esercito di “non cittadini” che rappresentano però il futuro dell’Italia e devono avere parte attiva nel processo di cambiamento del paese. Quando si parla di cittadinanza parliamo quindi anche di diritto di voto amministrativo, di diritti e doveri che, se vengono negati ad una parte della popolazione, inevitabilmente, prima o poi, verranno negati a tutti. Ci vuole perciò un’autentica “unità d’Italia” con un’inedita visione dell’immigrazione radicata nei principi della nostra Costituzione e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Da dove partire per attuare questa visione? Da una nuova legge sull’immigrazione, dalla revisione di quella attuale?
Un punto fondamentale … è la necessità di una nuova legge sull’immigrazione ed un ripensamento delle modalità d’ingresso nel paese. Dunque la naturale abrogazione della legge Bossi-Fini, del reato di clandestinità e dei CIE per dirigersi verso una nuova legge delega in materia. In generale dobbiamo passare da un approccio securitario e repressivo ad un approccio inclusivo che valorizzi appieno le competenze del migrante.
Viviamo n un momento di crisi delle imprese e dell’occupazione. Come tutelare i diritti dei lavoratori, italiani e migranti, evitando di innescare le “competizioni fra poveri” che arrivano a giustificare diffusi atteggiamenti razzisti se non un razzismo istituzionale, come avviene sempre più spesso in Grecia?
Dobbiamo in primo luogo combattere il falso stereotipo degli immigrati che vengano a rubare il lavoro: 8 milioni di contributi, 4 milioni di tasse che sono un sostegno concreto all’Inps. Eppure dati recenti della regione Emilia Romagna dicono che il salario medio dei cittadini stranieri è ancora di quasi del 25% più basso di quello italiano. Non differenzierei lavoro migrante da lavoro italiano poiché i diritti dei lavoratori sono comuni. Il problema dello stato italiano è quello di attuare riforme strutturali che diano dignità e garanzia al lavoro in modo da rafforzare tutti i settori garantendo salari adeguati. I posti di lavoro ci sono già, bisogna renderli stabili e combattere la precarietà anche con l’estensione degli ammortizzatori sociali alle categorie ora esenti e con un reddito sociale minimo.
Veniamo alla politica estera e alla cooperazione internazionale. Pensa che un cambiamento di impostazione potrebbe influire sui motivi delle partenze di molti stranieri che giungono in Italia?
C’è bisogno di una politica internazionale decentrata e di cambiare la legge 49 sulla cooperazione mettendo al centro il protagonismo del migrante. La chiave è il co-sviluppo: un movimento di mutuo scambio e trasformazione socio-economica, culturale e politica capace di legare in modo inedito e virtuoso l’integrazione alla cooperazione internazionale, sostenendo le capacità e la mobilità dei migranti. Una proposta che si basa sulla fondata convinzione che le risorse e le attività connesse ai movimenti migratori possano innescare e favorire processi di miglioramento tanto nei territori di origine quanto in quelli di destinazione.
Il diritto d’asilo in Italia è un aspetto critico in Italia: come rafforzarlo e come garantire un’accoglienza migliore ai rifugiati?
La politica italiana di asilo si contraddistingue nell’assenza di una vera legge organica in materia: un nuovo governo dovrà costruire una politica comune di ingresso e soggiorno, nonché politiche di promozione della mobilità e tutela dei diritti ancorata a nuovi partenariati con i paesi di transito. L’Ue sta ridisegnando la legislazione in materia di accoglienza: procedure comuni, individuazione dello Stato membro responsabile per l’esame delle domande, raccolta dei dati biometrici in una banca dati. Un disegno di procedura comune che dovrebbe avere un livello elevato di garanzie e includere la cooperazione nella gestione dell’immigrazione ma oltre a ciò essere legata a un sostegno reale ai processi di democratizzazione, alla lotta contro la povertà, allo sviluppo economico e sociale dei paesi di origine di migranti e rifugiati.
Esiste spesso una sorta di “ghettizzazione” per cui politici, studiosi, artisti migranti devono occuparsi solo di tematiche legate alla propria esperienza personale. Andando oltre questa facile e dannosa etichettatura, ci racconti in breve quali sono per lei i temi più importanti dell’agenda politica dei prossimi anni.
Indubbiamente l’immigrazione è un tema trasversale che tocca ogni aspetto della società e dell’economia italiane, ma nonostante questo credo sia fondamentale ripensare a uno sviluppo economico con politiche di crescita basate sugli assi ambiente, lavoro e cultura. Quindi, molto in breve, incentivare forme di imprenditoria cooperativa, giovanile, creativa e sostenibile per arrivare a coniugare lavoro con ecologia e ambiente e promuovendo attivamente la formazione.
Giacomo Zandonini Fonte: unimondo.org
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marjana
10 maggio 2013 at 16:47
Questa è l’Italia
luci
17 gennaio 2014 at 23:54
Bravi cosi deve esere