Domenica 16 luglio 2017 a Ziano di Fiemme Il Decanato di Fiemme propone un percorso…
di Luigi Accattoli 24 marzo 2009
Gli appelli c’erano – e ora li richiamerò – come c’era l’Africa con folle che sono arrivate al milione della messa di Luanda, ma i responsabili della grande comunicazione hanno scelto di tenerli bassi in coerenza con due convincimenti pigri e partigiani: che l’Africa sia notizia triste e che il Papa interessi quando configge con la libertà sessuale dell’Occidente ma non quando ne condanna la “cupidigia” che affama i poveri del mondo.
Benedetto è andato nel Camerun e in Angola anche perché – come ha detto domenica all’angelus - «gli uomini e le donne di ogni parte del mondo volgano i loro occhi all’Africa” così “assetata di giustizia e di pace». Ma questo risultato non l’ha ottenuto. Si può dire che ogni giorno il Papa abbia parlato dei cristiani che laggiù si fanno alleati dei più derelitti.
Ha ricordato “la scelta dei poveri” compiuta dal Sinodo africano del 1994 ed ha affermato con solennità a Luanda – davanti alle autorità dello Stato e al Corpo diplomatico – che «la Chiesa la troverete sempre accanto ai più poveri di questo continente».
Alla comunità internazionale ha posto come “urgente” questo insieme di interventi: «Coordinamento degli sforzi per affrontare la questione dei cambiamenti climatici, piena e giusta realizzazione degli impegni per lo sviluppo indicati dal Doha round, realizzazione della promessa dei Paesi sviluppati di destinare lo 0,7 % del loro PIL agli aiuti per lo sviluppo».
Oltre alle parole così esigenti del Papa, i media disponevano del documento preparatorio del Sinodo africano che si terrà in Vaticano il prossimo ottobre (pone a programma della Chiesa africana “la riconciliazione, la giustizia e la pace”), che Benedetto ha consegnato ai vescovi giovedì e nel quale per esempio si incontra questa denuncia delle multinazionali: «Continuano a invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali. Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia d’ettari espropriando le popolazioni delle loro terre, con la complicità dei dirigenti africani. Recano danno all’ambiente e deturpano il creato che ispira la nostra pace e il nostro benessere, e con cui le popolazioni vivono in armonia ».
Rilevante è stato anche l’appoggio dato dal Papa agli episcopati nella loro azione di denuncia della corruzione dei governanti: «Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio » ha detto il primo giorno arrivando a Yaoundè.
In quella stessa occasione ha pronunciato parole che dovrebbe- ro inquietarci, se avessimo il cuore per udirle: che oggi «l’Africa soffre sproporzionalmente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà e della malattia» e ciò avviene anche a motivo dello “scompiglio finanziario” che ha la sua origine e i suoi responsabili nei paesi del benessere.
Altrettanto forti sono stati i moniti che il Papa ha rivolto agli africani, in particolare nell’omelia di domenica, quando ha evocato le “nuvole del male” che hanno “ottenebrato anche l’Africa”. Dei mali che gli africani infliggono a se stessi ha tracciato questa elencazione biblica: «Pensiamo al flagello della guerra, ai frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, alla cupidigia che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta». Essendo stato 16 volte in Africa con Papa Wojtyla, credo di poter concludere che di più Benedetto XVI non poteva dire. Né poteva trovare meno ascolto nel vasto mondo.
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Il viaggio reale in Africa, oltre le cronache dei mediaJohn L. Allen
martedì 24 marzo 2009
Credo di non aver mai seguito una visita del Papa dove la distanza tra le percezioni interne ed esterne sia stata così ampia: è quasi come se il Papa avesse fatto due viaggi separati in Camerun, uno quello riportato a livello internazionale, l’altro quello vissuto realmente dagli africani.
Negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo, la copertura è stata a “tutto preservativo, per tutto il tempo”, innescata dalle osservazioni di Benedetto sull’aereo riguardo al fatto che i preservativi non sono il modo corretto di combattere l’Aids.
Invece, in Africa la visita del Papa è stata un successo e una larga folla è accorsa a vedere il Papa. Benedetto stesso sembra essere stato travolto dall’entusiasmo.
Per due volte si è riferito all’Africa come al “continente della speranza” e, a un certo punto, questo raffinato teologo ha perfino riflettuto ad alta voce su una nuova esplosione di energie intellettuali in Africa, che potrebbe portare a una versione del ventunesimo secolo della famosa scuola di Alessandria, che diede personalità alla Chiesa primitiva quali Clemente e Origene.
Per quanto possa sembrare irragionevole agli occidentali, è difficile trovare in Camerun qualcuno che consideri particolarmente importante la questione dei preservativi, a parte giornalisti, missionari o impiegati di Ong stranieri. I locali hanno opinioni ovviamente differenziate sull’efficacia dei preservativi nella lotta all’Aids, ma non considerano questo l’elemento dominante l’avvenimento.
Al dunque: vista dall’estero, la visita del Papa è stata centrata sui preservativi, localmente, è stata sentita come una celebrazione del cattolicesimo africano. Di seguito, una esperienza surreale che sottolinea questa divergenza.
Martedì, ho preparato un articolo sull’indiretto, ma evidente, rimprovero al presidente del Camerun, Paul Biva, già seminarista cattolico, che ha tentato ripetutamente di avvolgersi nella bandiera del Papa durante la visita di Benedetto. Manifesti in giro per Yaoundè dichiaravano una “comunione perfetta” tra i due ed erano stati distribuiti camicie e vestiti con le foto di Biva e Benedetto. Biva è, comunque, un tipico uomo forte africano, al potere in Camerun dal 1982 con un misto di repressioni occasionali e di corruzione continua.
Benedetto non ha voluto imbarazzare l’ospite, ma non ha lasciato neppure che foto e manifesti implicassero la sua approvazione. Così, senza citare Biva direttamente, ha detto in modo chiaro che i cristiani devono prendere posizione contro “la corruzione e gli abusi del potere”. Questo è stato sufficiente a creare un’onda d’urto in tutto il Camerun ed è sembrato rinvigorire i leader della Chiesa locale.
Il mattino dopo, il Cardinale Christian Tumi, unico Cardinale del Camerun, ha chiesto pubblicamente a Biva di non candidarsi alle elezioni fissate per il 2011, una cosa che prima nessuno avrebbe osato fare.
Stavo descrivendo questo nel mio articolo, quando ho dovuto interrompermi per un’intervista con la CNN International sul primo giorno della visita…. intervista interamente dedicata alla controversia sui preservativi. Sinceramente, mi sono domandato se stavamo parlando dello stesso evento.
Detto questo, vorrei chiarire la questione. Questo distacco di percezione non è esclusivamente, o perfino primariamente, colpa dei media. Il giornalista della Tv francese che in aereo ha posto la domanda sui preservativi era entro i limiti della correttezza: l’Aids è un problema grave ed è corretto interrogare su questo punto il Papa, in occasione della sua prima visita al continente che più è colpito da questo flagello. Una volta posta la domanda, la palla era a Benedetto e buona parte di quello che è successo dopo è derivante dalla sua risposta.
Con questo, non sto prendendo posizione sulla sostanza della risposta del Papa, che ha ripetuto l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione e in accordo con l’opinione di quasi tutti i vescovi africani da me intervistati, secondo i quali il preservativo dà alla loro gente un falso senso di invulnerabilità, spingendoli così a una condotta sessuale più a rischio. Questa opinione può essere discussa, ma non si può accusare il Papa di seguire le indicazioni dei suoi vescovi in loco (tanto più che, normalmente, i Papi vengono accusati proprio di non ascoltare i vescovi locali).
Il punto è se quello era il momento e il luogo giusto di dire queste cose, sapendo che ciò avrebbe messo in ombra il messaggio vero che Benedetto stava portando all’Africa (non è la prima volta: in volo verso il Brasile nel 2007, rispose a una domanda circa la scomunica dei politici che sostengono il diritto all’aborto, compromettendo l’effetto del primo giorno della sua prima visita in America Latina).
Si tratta di un problema ben noto a chi è abituato alle telecamere e che deve vedersela con una domanda che non porta a nulla di buono. Benedetto avrebbe potuto dire qualcosa tipo: “Naturalmente la Chiesa è profondamente coinvolta con il problema Aids, il che spiega perché un quarto di tutti i malati di Aids nel mondo è curato in ospedali e altre strutture cattoliche. Per quanto riguarda i preservativi, il nostro insegnamento è ben conosciuto, ma questo non è il momento per discuterne. Invece, vorrei focalizzarmi sul mio messaggio di speranza per i popoli africani” e così via.
Sarebbe probabilmente finita con: “Benedetto ha ignorato la domanda sui preservativi”, senza sollevare nessun putiferio. Qualcuno, speranzoso, potrebbe dire che la sceneggiata sui preservativi ha almeno attirato l’attenzione del mondo sulla visita in Africa, ma non è così, perché l’Africa è diventata lo sfondo di un altro round della guerra culturale in Occidente.
Rimane comunque il fatto che queste discussioni hanno lasciato un’impressione fortemente distorta degli scopi e dei contenuti della visita del Papa in Camerun. Se la prima regola per valutare un evento è di capire cosa è realmente successo, il trarre conclusioni dal viaggio africano di Benedetto richiede molto di più che non seguire i sussulti del dibattito sui preservativi.
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Bagnasco: «Il Papa offeso e irriso da politici e media»
di Manila Alfano
Primo: non offendere.
«Non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso e offeso».
Il cardinale Bagnasco apre il Consiglio permanente della Cei con parole dure, durissime. Il suo è più di un appello, è un rimprovero, al mondo, che non ha saputo capire, che non ha voluto proteggere e preservare il pontefice e il suo lavoro. «Le critiche contro il Papa – dice il cardinale -, si sono prolungate oltre ogni buonsenso». Il riferimento è duplice, e va dal fronte dei lefebvriani, a quello dei preservativi.
«Di certo c’è stato un pesante lavorio di critica, dall’Italia e soprattutto dall’estero, nei riguardi del nostro amatissimo Papa», sulla revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani e sul caso Williamson «che imponderabilmente vi si è come sovrapposto». «Nessuno tuttavia, dice, poteva aspettarsi che le polemiche sarebbero proseguite, e in maniera tanto pretestuosa, fino a configurare un vero e proprio disagio», sfociato poi nella lettera del Papa ai vescovi.
Ed è proprio a loro che si rivolge per invitarli a stare vicino al Papa. Il cardinale non entra nel merito delle «accuse maldestre», ma si concentra sulla reazione, «merita molto di più concentrarci sulla Lettera che, come atto autenticamente nuovo, ha subito attirato un vasto consenso. La sua disamina ha fatto emergere come per contrasto il candore di chi non ha nulla da nascondere circa le proprie reali intenzioni, le motivazioni concrete delle proprie scelte, la coerenza di una vita vissuta unicamente all’insegna del servizio più trasparente alla Chiesa di Cristo».
Poi, quando il peggio sembrava passato, quando la polemica sui lefebvriani sembrava placarsi, l’onda del dissenso ha ricominciato a gonfiarsi.
Il pellegrinaggio in Africa nascondeva la grande trappola cavalcata da media, politici, opinione pubblica: la libertà del preservativo. È su questo tema, più che sui lefebvriani che l’opinione pubblica si è accanita, ha offeso. Ha aggredito e riversato tutto il suo conflitto. Lo sottolinea Bagnasco, con altrettanta chiarezza. «Un viaggio, quello in Africa, impegnativo e ricco di speranza sovrastato dall’attenzione degli occidentali da una polemica, sui preservativi, che francamente non aveva ragione d’essere, se non fosse stato per l’insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali, e per le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sovranazionali». E in questa occasione, «non ci si è limitati a un libero dissenso, ma si è arrivati a un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici». È senza mezzi termini il Cardinale quando dice: non accetteremo mai da nessuno che il Papa venga irriso e o offeso».
Il discorso poi si è poi spostato sul biotestamento. «Serve una legge che tuteli la vita», ha ricordato Bagnasco. «Eluana ha rappresentato un’operazione tesa ad affermare un diritto di libertà inedito quanto raccapricciante: il diritto a morire, darsi e dare la morte in talune situazioni da definire». La Chiesa torna quindi a ripetere no all’eutanasia, alla scelta di Beppino Englaro nei confronti della figlia. Il coraggio vero invece è quello delle suore di Lecco, quelle che hanno accudito Eluana, che fino in fondo hanno cercato di strapparla alla scelta del padre. «Sappiamo, ha detto il cardinale, che a loro non piace stare in alcun modo alla ribalta, ma è a loro che va un grazie speciale, alle campionesse della carità. Qualunque deriva eutanasica, per quanto circoscritta o edulcorata è una falsa soluzione». Secondo Bagnasco quindi il vero scontro di civiltà è quello tra credenti e non credenti. Non quindi un «conflitto tra culture religiose diverse, ma tra chi fa discendere l’uomo da Dio e da chi lo colloca nel mezzo di un’evoluzione ancora in corso «nell’esasperato paradigma evoluzionista».
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