Staminali embrionali: tempo di verità. Via sbagliata e senza esiti

Da il 3 agosto 2010

Niente squilli di trombe e titoloni in prima pagina, neppure l’ombra di quei toni trionfalistici che in occasioni analoghe traboccano dai media: l’annuncio dell’autorizzazione americana alla prima sperimentazione, su una decina di persone, di terapie con cellule staminali embrionali umane, è stato accolto dall’opinione pubblica, anche internazionale, con grande cautela. Brevi articoli confinati nelle pagine interne dei principali quotidiani, con commenti prudenti anche da parte degli stessi sostenitori di questo tipo di ricerche: studiosi, politici e giornalisti aspetteranno i risultati, prima di giudicare o prevedere alcunché. Troppe volte grandi annunci e promesse di cure formidabili che sembravano essere appena dietro l’angolo, pronte a sconfiggere malattie incurabili, si sono trasformati in breve in enormi delusioni.

‘Staminali embrionali’ comincia a non essere più una specie di formula magica, e sono i fatti a dimostrare che questo filone di ricerca sugli embrioni umani non interessa poi tanto: centinaia di migliaia di embrioni crioconservati giacciono abbandonati nelle cliniche di fecondazione in vitro di mezzo mondo, e ci sono Paesi (come Gran Bretagna e Danimarca) che ne programmano per legge la distruzione, se nessuno li richiede più, o comunque dopo che si è superato un tempo massimo di conservazione. Se veramente fossero così utili per la scienza, di embrioni crioconservati abbandonati non dovrebbero esisterne laddove si possono usare a fini di ricerca (per esempio negli Usa, dove se ne stimano mezzo milione), e tanto meno si dovrebbero eliminare, mandando al macero quello che teoricamente è considerato preziosissimo «materiale biologico». Eppure a protestare per la loro distruzione, quando consentita per legge, non sono stati scienziati e ricercatori, ma solamente gruppi pro-life. Quindi in laboratorio non servono neanche se ceduti gratis, il che sta a dimostrare quanto poco interessi, in realtà, averne a disposizione, e quanto invece sia ideologica l’ostinata richiesta di manipolarli e distruggerli legalmente, sventolando strumentalmente la bandiera della libertà di ricerca.

Intanto dal Londra veniamo a sapere che a vent’anni dalla sua costituzione l’Hfea, l’authority inglese che regola la fecondazione assistita e la ricerca sugli embrioni umani, chiude i battenti, e le sua competenze saranno trasferite in ambito parlamentare. La motivazione è economica: l’ente costerebbe troppo. Evidentemente, i risultati del lavoro dell’Hfea non ne giustificano i costi. Una decisione epocale, questa del governo inglese, che ha un nesso importante con l’altra notizia, e cioè lo scarso entusiasmo per la sperimentazione americana sulle embrionali appena autorizzata: entrambe riflettono la delusione per le promesse mancate e la percezione di sostanziale fallimento di certa ricerca sugli embrioni umani.

%name Staminali embrionali: tempo di verità. Via sbagliata e senza esiti L’Hfea, unica authority al mondo per l’embriologia umana, in nome di una presunta autorevolezza tecnico-scientifica, teoricamente indipendente dalla politica, è stata in occidente la punta di lancia per sfondare ogni limite etico nelle biotecnologie legate alla procreazione assistita, attuando, nei fatti, politiche improntate ad un’etica relativista: prima fra tutti, la promozione della ricerca su embrioni umani, formati solo a tale scopo. Ma tanta foga non ha dato i risultati sperati: l’ultima figuraccia è stata l’autorizzazione a produrre embrioni ibridi umano-animali, tentativo spacciato dall’Hfea come avanzatissima e promettente ricerca di frontiera, rivelatosi presto un fallimento tanto clamoroso quanto prevedibile. Con la chiusura dell’agenzia inglese cala il sipario sull’ ipocrisia di organismi tecnici politicamente indipendenti: soprattutto in biopolitica (ma non solo) non esistono scelte tecniche ‘neutrali’, ed è bene che la politica non cerchi di inventarsene per nascondercisi dietro.

ASSUNTINA MORRESI

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