Domenica 16 luglio 2017 a Ziano di Fiemme Il Decanato di Fiemme propone un percorso…
Un derby contro la Sla: Michele Riva intervista Stefano Borgonovo
Stefano Borgonovo, qui con Roberto Baggio |
Michele ha inviato delle domande all’ex centravanti Borgonovo, anche lui colpito dalla malattia. Stefano gli ha risposto. L’unione fa la forza. Sempre, a maggior ragione nel loro caso
ROBERTO BECCANTINI
TORINO
Michele Riva è un malato di Sclerosi laterale amiotrofica. Ha scritto un libro di lotta e di speranza, “Il ramarro verde”, e coltiva un sogno: organizzare un derby fra Juventus e Torino per scuotere l’apatia e incrementare la ricerca contro la Sla.
Avevo dedicato all’iniziativa il “Sassolino nella scarpa” del 15 dicembre 2008. Michele ha conosciuto Stefano Borgonovo, anch’egli aggredito dalla Sla. Centravanti di buona tecnica, ha girato molte squadre e giocato nella Fiorentina di Roberto Baggio e nel Milan degli olandesi. Il 17 marzo compirà 45 anni. Dopo un lungo silenzio ha deciso di uscire allo scoperto. Curioso e battagliero, Michele gli ha inviato delle domande. Stefano gli ha risposto. L’unione fa la forza. Sempre, a maggior ragione nel loro caso.
Michele e Stefano sono duri, tosti. Avanti tutta, con il tifo di tutti, in attesa che Juventus e Toro trovino uno spiraglio.
Riva: Perché un bel giorno hai deciso di lottare pubblicamente contro la Sla? Che cosa ti ha fatto cambiare idea?
Borgonovo: «Credo che sia stato il mio amore per il calcio. Guardarlo in tv mi faceva male, era attaccato su tutti i fronti: doping, Sla, Calciopoli».
Riva: Se per assurdo avessi saputo che un giorno saresti stato aggredito da una malattia grave come questa, cosa avresti cambiato della tua vita?
Borgonovo: «Nulla. Sicuro. Conoscendomi, avrei alzato il ritmo della vita stessa, dandomi tutto ai miei figli e aspettando che la Stronza finisse l’opera sul mio corpo, per poi affrontarla… Che è poi quello che ho fatto e sto facendo».
Riva: Cosa ti aspetti dalla tua fondazione ?
Borgonovo: «Che riesca a fornire un grande appoggio alla ricerca e ai ricercatori. La nostra speranza è tutta lì».
Riva: Secondo te, il mondo del calcio avrà un ruolo determinante nella lotta alla Sla? Se sì, fra quanto tempo potremo vedere i primi effetti concreti?
Borgonovo: «Con me sfondi una porta aperta. Sicuramente il calcio, con i suoi tesserati, le società, le Leghe, la Federazione, ci darà una grande mano a eliminare la Sla. Per la cronaca ha già cominciato a farlo».
Riva: Io e te siamo fortunati ad avere al nostro fianco una famiglia, cosa vorresti dire a chi è solo ad affrontare la malattia?
Borgonovo: «Beh, è una situazione difficile. Non basta avere coraggio, forza. Credo che il nostro aiuto attraverso la Fondazione punti anche all’assistenza».
Riva: In un’intervista concessa a Gaia Piccardi del Corriere della Sera, il procuratore Raffaele Guariniello insiste con la teoria che, per debellare la Sla, ci vorrebbe (anche) più collaborazione da parte del mondo del calcio. Ci vorrebbe, detto fuor di metafora, un pentito. Cosa ne pensi? Borgonovo: «Penso che ogni opinione sia rispettabile. Detto ciò, il calcio non è Alcatraz. Quindi: non c’è bisogno di pentiti. Io ho avuto risposte dal mio mondo, e ne sono orgoglioso».
LUKA
Ho conosciuto Luca Pulino circa quattro anni fa.
Una volta iniziata a intuire la portata del dramma che si stava consumando dentro di me, mentre cercavo parossisticamente su internet notizie,
informazioni, indizi che potessero aiutarmi ad illudermi di essermi sbagliato, mi sono imbattuto nel suo sito.
Luca si è ammalato ad agosto 2001. Aveva trent’anni.
A febbraio del 2002 la diagnosi: Sclerosi Laterale Amiotrofica. Variante bulbare, una delle più bastarde.
Da qui in poi, i suoi appunti di viaggio sono una straziante via crucis.
Agosto 2002: difficoltà nei movimenti fini delle dita.
Ottobre 2002: prime difficoltà nell’uso delle posate e della penna.
Aprile 2003: impossibilità di adoperare la tastiera del computer.
Agosto 2003: “Ho perso completamente ogni forma di autosufficienza. Devo essere aiutato a compiere qualsiasi cosa”.
Però Luca non ci sta ad aspettare la sua morte tranquillo. Apre un sito su internet, ed invece che chiamarlo www.chesfigadimerda.com, lo chiama www.leportedellasperanza.it.
Le porte è lui ad aprirle, mettendo la sua esperienza al servizio degli altri, riportando informazioni, link, news: tutto quanto può servire ad aiutare chi è precipitato nell’incubo.
A chi gli scrive, non manca mai di dare una risposta.
Uno stile secco, conciso, esauriente. Lo stile della necessità, lo stile di chi non può permettersi di sprecare nemmeno una parola perché per scrivere non usa più le mani, ma prima un piede, poi gli occhi.
Anche a me dà un consiglio utile quanto prezioso: “Non fasciarti la testa prima del tempo”.
Leggo il suo sito avidamente.
Da qualche parte scrive che ha problemi di respirazione quando gli viene da ridere forte.
La prima cosa che penso è: “Che cosa potrà aver mai da ridere, questo povero ragazzo?”.
La seconda è un lampo abbacinante: “Se con questa malattia si può ancora aver voglia di ridere, allora si può anche continuare a vivere”.
Mi si apre un mondo. La caligine oscura che mi aveva oppresso fino a quel momento lascia passare una tagliente lama di luce.
Un paio di anni più tardi l’ho incontrato di persona, a Roma, nello studio di due ricercatori indipendenti, sostenitori di una teoria così strampalata che avrebbe potuto persino funzionare.
Io non l’avevo riconosciuto. Lui, non so come, sì.
Ha voluto salutarmi, prima di andar via al termine del trattamento.
Quando me lo son visto davanti, spirito indomabile imprigionato nel suo corpo, è stato come se la sua grandezza mi sovrastasse.
Quasi del tutto paralizzato, con la testa ciondolante per la debolezza del collo, mi ha guardato e mi ha sorriso.
Non mi è passato per la mente nemmeno per un istante di pensare di lui “Poveraccio”, perché ho avuto davanti l’immensità del suo coraggio, testimoniata da quello sguardo vivo, lucido, penetrante, tutt’altro che rassegnato, e da quel sorriso faticosamente svelato, disarmante nella sua semplicità.
Ho avuto davanti tutta la forza della sua martoriata umanità, e ne sono rimasto schiacciato, annichilito, balbettante.
Se con la SLA si può avere la temerarietà di sorridere, allora, davvero, si può anche avere la sfacciataggine di sopravvivere.
Luca me l’ha insegnato, ed io non gli sarò mai abbastanza grato per questo.
Noi guariremo. Non so come, né quando, ma noi guariremo.
Adriano Staganaro
(malato Sla nato il 29 settembre del 1970)
Articolo a cura della nostra inviata a Torino Annamaria L.
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