Risale al 1946 la foto storica della processione della Madonna Assunta per le strade di…
Sessant’anni fa, l’ 11 marzo 1949, il Consiglio dei ministri si pronunciava « in senso unanime per l’accessione in via di massima al Patto atlantico » . Dietro il linguaggio oscuro, c’era una precisa scelta, perseguita con fermezza da Alcide De Gasperi: inserire l’Italia in modo pieno tra le democrazie occidentali in stretta alleanza con gli Stati Uniti. Parlando a Bruxelles il 30 novembre 1948 alle Grandes conférences catholiques, lo statista democristiano aveva con chiarezza definito la questione: « L’Italia è pronta ad imporsi quelle autolimitazioni di sovranità che la rendono sicura e degna collaboratrice di un’Europa unita in libertà e democrazia » .
Adesso il Patto atlantico non fa più problema. Anche chi, come il Partito comunista di Togliatti ( e pure il Partito socialista di Nenni), si era opposto in Parlamento prefigurando scenari apocalittici di guerra per il nostro Paese, lo ha accettato e anche condiviso. Basterebbe ricordare una nota intervista di Enrico Berlinguer a Giampaolo Pansa, nella quale il leader del Pci affermava di sentirsi « più garantito » sotto l’ombrello del Patto atlantico. Sessanta anni fa, però, la situazione interna e soprattutto internazionale era carica di tensioni per la crescente Guerra fredda tra l’Occidente e il fronte compatto dei Paesi dell’Europa orientale, egemonizzato dall’Unione Sovietica di Stalin e segnato dal ‘ terribile’ 1948, aperto in febbraio con il colpo di Stato comunista a Praga, proseguito in giugno con il blocco di Berlino, voluto dai sovietici, che aveva obbligato ad un gigantesco ponte aereo per rifornire la città. In Italia restava insoluta la questione di Trieste, con la creazione di un Territorio libero con due zone distinte, una delle quali, la B, poi assegnata alla Jugoslavia di Tito. In questo clima, nel marzo 1948 Gran Bretagna, Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo avevano dato vita all’Unione europea occidentale. L’Italia era stata esclusa. Soprattutto per la diffidenza di Londra, per la quale era meglio tenerci fuori dall’alleanza « militare, difensiva si specifica, anche se non solo militare » , che si stava avviando con gli Stati Uniti e il Canada. Il desiderio dell’Italia di essere coinvolta in questo Patto incontrava giudizi diversi in Vaticano. Decisamente contrario era il cardinale Ottaviani, come ha ricordato Paolo Emilio Taviani, allora vice segretario della Dc.
Anche Tardini, sostituto alla segreteria di Stato, ancora nell’agosto del 1948 osservava al nostro ambasciatore in Vaticano che era miglior interesse del Paese e anche degli Stati Uniti restare sul terreno della neutralità. Nel lavoro diplomatico, svolto soprattutto in America dal nostro ambasciatore, Tarchiani, il presidente del Consiglio aveva un sostenitore nell’altro sostituto alla segreteria di Stato, Montini. È questi a combinare, l’ 8 settembre 1948, un’udienza a Castelgandolfo di Pio XII a Tarchiani. Ma di questa udienza, come ha osservato Giulio Andreotti nel suo diario, non esiste nessun riscontro sull’Osservatore romano.
C’è solo un curioso trafiletto nella cronaca del quotidiano vaticano con l’informazione che l’ambasciatore era a Roma « dopo un breve congedo trascorso in Piemonte » . Il silenzio può spiegarsi col fatto che la Santa Sede non poteva certo intervenire mentre erano in corso le trattative negli Stati Uniti per un’adesione dell’Italia al Patto atlantico. Ma nel radiomessaggio natalizio Pio XII riconosceva ai cattolici il dirittodovere di schierarsi per difendere la pace. Pochi giorni prima, nel dibattito sulla politica estera svoltosi a Montecitorio dal 30 novembre al 4 dicembre, nel quale Nenni aveva ribadito la scelta della neutralità e Togliatti affermato che la divisione Est- Ovest era dovuta all’imperialismo americano, Dossetti aveva difeso la politica del governo pur dichiarando, a proposito del Patto atlantico, che « non era stato assunto, né in atto, né in potenza, alcun impegno » . Nell’assemblea del gruppo democristiano precedente il voto, a De Gasperi, che aveva prospettato la nostra adesione come probabile ma non ancora definita, i gronchiani ( con Dino Del Bo) avevano espresso la loro contrarietà, mentre Dossetti e il suo gruppo avevano indicato una adesione ‘ graduata’ inserita nel contesto ‘ ineliminabile ‘ di unificazione europea. Ma i tempi si facevano stretti.
Il 6 gennaio 1949, l’Italia presentava un memorandum con il quale chiedeva agli Stati Uniti di appoggiare la nostra richiesta di far parte dell’alleanza. A testo ormai conosciuto, Dossetti, il 22 febbraio, scriveva a De Gasperi lamentando che il partito era chiamato solo a ratificare una decisione già presta dal governo e chiedeva un incontro chiarificatore. L’ 11 marzo il Consiglio dei ministri dava via libera al Patto. Il presidente del Consiglio chiedeva la fiducia. Nell’assemblea dei gruppi parlamentari Dc, la linea del presidente del Consiglio passava a grandissima maggioranza. Solo tre i voti contrari, di Dossetti, Gui, Del Bo; cinque gli astenuti; quattordici gli assenti tra cui Gronchi, presidente della Camera, e il ‘ pacifista’ Igino Giordani. Il 12 marzo iniziava il dibattito a Montecitorio. Sarebbe proseguito, dopo la pausa di domenica 13, con una seduta ininterrotta fino alle 16,20 del 18 marzo, quando la Camera avrebbe votato la fiducia. In tutto il Paese si svolgevano intanto imponenti manifestazioni popolari guidate dai partiti della sinistra; in aula tutti i deputati comunisti e socialisti si iscrivevano per dichiarazione di voto dando vita ad un ostruzionismo punteggiato da urla, insulti, pugni, lancio anche di cassetti.
Tutti i deputati Dc avrebbero votato la fiducia, compreso Dossetti, ‘ trascinato’ nell’aula da Lazzati. Unico ‘ dissidente’ l’onorevole Rapelli ( forse astenuto e non contrario). Il 27 marzo anche il Senato autorizzava l’ingresso dell’Italia nel Patto atlantico. Il 4 aprile sarebbe seguita la firma a Washington. A luglio il Parlamento avrebbe ratificato il Patto, mentre un autotreno imbandierato del comitato dei partigiani della pace scaricava le schede contrarie di sei milioni di firme ( tante erano state dichiarate). Per Taviani, divenuto segretario della Dc, quella compiuta sessant’anni fa fu « una lungimirante scelta di politica estera per garantire la pace nella sicurezza » . E tale è stata fino ad oggi.
Avvenire
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