PREDAZZO. Il museo geologico di Predazzo è interessato da importanti lavori di riconfigurazione e riqualificazione…
Nodo di una rete museale territoriale, il museo oggi racconta la storia delle Dolomiti di Fiemme e Fassa e il loro millenario rapporto con le popolazioni locali.
Una porta sulle Dolomiti, Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Inaugurazione nuovo allestimento: mercoledì 19 agosto, ore 18.00
Programma
ore 16.00 | al museo: GeoLabs, un pianeta che stupisce!
ore 17.00 | in piazza: NOWHERE, Danza Urbana | Compagnia FRAGILE artists in collaborazione con FATTORIA VITADINI
ore 18.00 | al museo: discorsi istituzionali
ore 19.00 | al museo: Gonne in quota. Amelia Edwards ed Emma Della Giacoma – monologo di Elena Osler
ore 21.00 | in piazza: concerto di Loris Vescovo, Targa Tenco 2014 per la musica dialettale; ospite Stefano Dellantonio
Ingresso libero
Museo Geologico delle Dolomiti – Predazzo. Piazza SS. Filippo e Giacomo, 1. 38037 Predazzo (TN). Tel +39 0462 500366 / museo.predazzo@muse.it / www.muse.it
Predazzo si qualifica dunque come porta delle Dolomiti. I singoli massicci montuosi sono rappresentati mediante allestimenti che possono essere percorsi dall’esterno, e ne riproducono le forme, i colori e le storie umane, oppure esplorati dall’interno scoprendo l’evoluzione geologica e le radici profonde del paesaggio odierno.
L’opera della natura è protagonista dei settori interni dell’allestimento, nelle singole isole, dove i tesori custoditi nel cuore delle montagne si offrono al visitatore.
L’opera dell’uomo è protagonista dei settori esterni; dalle prime esplorazioni del territorio alla sua conformazione odierna attraverso la sua trasformazione nei secoli.
Il tutto in un percorso organico che connette ogni singolo elemento con continuità spaziale e temporale.
Grazie al nuovo progetto espositivo è stato possibile dare una collocazione adeguata ai campioni unici e di eccezionale valore della collezione geologica del museo, attualmente costituita da un patrimonio di oltre 12.000 esemplari, tra cui la più ricca collezione di fossili invertebrati delle scogliere medio-triassiche conservata in Italia.
“Questa è la chiave delle Alpi…sede dei fenomeni geologici più svariati e meravigliosi”. Scriveva così Leopold von Buch, uno degli studiosi che dall’inizio dell’Ottocento si dedicavano all’esplorazione e alla ricerca nelle Valli di Fiemme e Fassa. Mercoledì 19 agosto, alle ore 18.00, riapre, in una veste completamente rinnovata, il Museo Geologico delle Dolomiti di Predazzo. Un traguardo importante che rende ancor più evidente il ruolo di questo spazio come snodo centrale di una riflessione sul tema Dolomiti, Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Il nuovo allestimento, grazie ad un approccio museologico contemporaneo, valorizza il patrimonio geologico e naturalistico locale e si qualifica come spazio di una rete territoriale votata alla comprensione e fruizione del bene naturale, in un ambiente privilegiato e ricco di spunti senza pari. Forte di numero di presenze in costante aumento e di numerosi progetti per il futuro, questo spazio, dal 2012 sede territoriale del MUSE, è una realtà vivace e attenta alle specificità del territorio, punto di riferimento per la programmazione culturale delle valli di Fiemme e Fassa. Oggi è pronto per svelare i suoi nuovi allestimenti.
Predazzo era in subbuglio. Il 30 settembre 1822 era stata annunciata una visita di assoluto riguardo, quella del Ciambellano del re di Prussia nonché naturalista Alexander von Humboldt.
L’albergo “Nave d’Oro” fu rimesso a nuovo e fu esposto un nuovo registro per i visitatori, in cui l’illustre ospite doveva apporre per primo la sua firma. A lui sarebbero seguiti altri geologi importanti.
Ma cosa cercava Humboldt a Predazzo, in questo piccolo centro al di fuori delle grandi vie di comunicazione che collegavano l’Italia al centro dell’Europa?
Agli inizi del 1800, intorno all’origine delle rocce, tenevano il campo due teorie opposte fra loro, quella “nettunistica” e quella “plutonistica”. I sostenitori della prima ritenevano che tutte le rocce si fossero formate una dopo l’altra da un esteso oceano primordiale, prima quelle antiche come gli scisti, gli gneiss e i graniti, poi quelle recenti come le dolomie, i calcari e le altre rocce sedimentarie. Venivano esclusi processi genetici come le orogenesi e le intrusioni, e le prime venivano spiegate come rilievi già esistenti sul fondo di quell’antico mare, dovute ad una irregolare solidificazione. E’ evidente che su questa scuola di pensiero pesava ancora, e molto, la tradizione biblica, che fissava a pochi millenni or sono la nascita della Terra, creata nella sua compiutezza e scevera da possibili evoluzioni.
La scuola “plutonista” vedeva già il ruolo determinante che le forze endogene giocavano nella formazione delle rocce. Il granito, ad esempio, non costituiva lo strato più antico di sedimenti depositati nell’oceano primordiale, ma il prodotto della solidificazione di masse fuse provenienti dalle viscere della Terra iniettatesi, dal basso vero l’alto, nelle rocce sovrastanti.
Mentre le due scuole si avversavano in fiere controversie, l’attenzione fu polarizzata da una comunicazione che proveniva da Predazzo: il conte Giuseppe Marzari Pencati aveva scoperto che presso i Canzoccoli, località ad ovest di Predazzo, il calcare era ricoperto di granito.
Lo scritto di Pencati, che minava alla radice la teoria nettunistica, destò enorme scalpore anche al di fuori dell’ambito accademico; fra le persone colte, infatti, c’era un diffuso interesse per la geologia. Se le osservazioni si fossero rivelate esatte, avrebbero avuto ragione i sostenitori della teoria rivale, il plutonismo.
Von Humboldt era arrivato per prendere visione personalmente della scoperta. Non erano passati due anni (1824) e Leopold von Buch, il più importante geologo del tempo, era già venuto in carrozza due volte dalla Sassonia a Predazzo, cercando una spiegazione alternativa alle osservazioni di Pencati. Il von Buch osservava e studiava i minerali, per i quali la zona era diventata frattempo famosa, e scoprì il calcare in prossimità del granito e della monzonite, e, di questo fatto dava anche la corretta interpretazione.
La prova venne dai più noti studiosi dell’epoca oltre ai due citati, Cordier, Richthoffen, Murchison, Studer, Maraschini e altri ancora visitarono i Canzoccoli.
Era questa la prima conferma che il granito può essere più recente del calcare, che esso sale caldo dalle profondità della Terra, e che può trasformare per metamorfismo di contatto la composizione della roccia incassante. Considerazioni che oggi ci sembrano ovvie, ebbero allora nel campo scientifico un effetto rivoluzionario e dettero il colpo di grazia alla teoria “nettunistica”.
Ed oggi, come è vista la questione?
Verso la fine del Ladinico, forse attorno a 233/232 milioni di anni fa, la regione Dolomitica viene sconvolta da una serie di importantissimi fenomeni ed eventi geologici, che appaiono concludere la forte e generale subsidenza che aveva caratterizzato il precedente periodo. Nel contempo si formano due grossi apparati vulcanici che emergono dall’acqua, uno nei pressi di Predazzo, l’altro nella zona della Val S. Nicolò in Val di Fassa, vicino all’attuale gruppo dei Monzoni. Da questi vulcani fuoriesce una quantità enorme di lava e di altri prodotti vulcanici, quali tufi, ceneri e ialoclastiti.
Vennero scoperti minerali e rocce sino allora sconosciuti, cui fu spesso dato il nome di toponimi locali (fassaite, monzonite, predazzite, ecc.) e si accesero vivaci discussioni sull’origine e la successione cronologica di queste rocce.
La varietà di minerali, di rocce e di fenomeni geologici concernenti in un’area tanto ristretta divenne celebre e richiamò un gran numero di ricercatori, cosa che avviene tutt’ora.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’interesse del mondo accademico incominciò a gravitare anche sui fossili, in particolare quelli rinvenuti nelle formazioni calcaree. Benché rari, di difficile estrazione dalla roccia e spesso ubicati in affioramenti distanti dal fondo valle nonché poco accessibili, furono oggetto di corpose pubblicazioni edite soprattutto in Austra e in Germania.
Un fossile è una testimonianza della vita passata conservata nelle rocce. Un fossile quindi è un indizio capace di una incredibile quantità di informazioni, dà notizie sull’ambiente in cui è vissuto, sul clima, permette di ricostruire l’antica geografia, documenta la storia dell’evoluzione degli organismi e permette da datazione degli strati. In particolare alcuni fossili, detti fossili guida, permettono di ordinare con precisione gli strati in cui sono stati raccolti.
La spettacolare rinascita di un arcipelago
Le Dolomiti non hanno eguale in altre regioni della Terra. Cosa rende le Dolomiti così belle? Quali sono le loro caratteristiche peculiari? Quali vicende hanno condotto alle forme che tutti conosciamo e ammiriamo? Ambienti marini, canali oceanici, catastrofiche eruzioni vulcaniche, sprofondamenti, compressioni e sollevamenti, glaciazioni, sono tutti eventi che sono accaduti in altri luoghi del globo ma, nel caso delle Dolomiti, il loro particolare incastro ha portato alla realizzazione di un puzzle unico sorprendentemente bello. Stupito di fronte a questa originale bellezza, l’uomo solleva lo sguardo.
Deodat Tancrède De Dolomieu (1750 – 1801) fu primo ad accorgersi dell’importanza di quella “pietra calcarea molto poco effervescente” al contatto con l’acido cloridrico e che in seguito fu chiamata dolomia. Nel 1794, su un testo inglese di mineralogia, Richard Kirwan lo riconosce come un minerale a se stante con il nome di “DOLOMITE”. Quando nel secolo successivo i primi alpinisti-turisti inglesi scoprirono il fascino di quelli che venivano chiamati i Mondi Pallidi, il nome del minerale dolomite fu esteso all’intera regione.
Storia delle Dolomiti
Il periodo Triassico è stato così chiamato dai geologi tedeschi alla fine dell’ottocento. Il Triassico costituisce la prima parte dell’era Mesozoica (che alcuni autori hanno chiamato età dei rettili), da 248 a 206 Ma fa. All’inizio del Triassico la vita e l’ambiente si stanno riorganizzando dopo la più vasta estinzione di massa che la storia della terra ricordi e che identifica il limite tra Permiano e Triassico: il 95% di tutte le specie conosciute ed il 60% dei generi, inclusi gli animali marini, si estinsero. Durante il Triassico ha inizio l’evoluzione dei dinosauri e dei primi mammiferi, il clima è generalmente caldo e secco e non c’è evidenza della presenza di calotte polari.
In questo contesto, nelle isole e atolli del Triassico, dopo l’esito di una complessa serie di eventi e della loro straordinaria composizione, si sono create le condizioni per la nascita di un arcipelago tropicale dove si depositavano i calcari.
I calcari hanno continuato a sedimentarsi per milioni di anni, con significative interruzioni che hanno permesso il deposito di rocce diverse. Il processo di formazione delle rocce ha provocato una abbondante dolomitizzazione. I movimenti delle placche hanno trasportato tutta l’area alle nostre latitudini temperate e durante l’Orogenesi Alpina le rocce che compongono le Dolomiti sono state sollevate fin dove si trovano attualmente. Nonostante le deformazioni, i rapporti tra i diversi corpi sedimentari si sono conservati in molte località. L’erosione ha modellato le forme che oggi osserviamo, la vegetazione, con la sua particolare distribuzione caratterizza il paesaggio.
Esposizione e ricerca proposta da un principiante appassionato delle Dolomiti dove l’uomo costruisce, coltiva, ama, abita, si diverte, guarda, muore, prega, fa turismo, ha anche fatto una guerra, come da tante parti, ma questo è uno dei luoghi dove alzando lo sguardo non può fare a meno di saziarsi di infinito e dire questa è casa mia, ma è una casa che non ho fatto io.
Lucio Dellasega
Predazzo 14 agosto 2015
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