Da parte dei pompieri, è stata preparata la tradizionale "aza" nel giardino della scuola dell'infanzia,…
Fuochi che verranno accesi nella serata di venerdì 11 novembre esattamente alle ore 20.00 per poi dare il via alla chiassosa sfilata per le vie del paese in compagnia dei campanacci. Il raduno finale si terrà nella piazza SS. Filippo e Giacomo, dove ci si potrà scaldare con un bicchiere di tè o vin brulé.
Davvero originale l’idea dei Somaileri che hanno voluto sottolineare con la catasta di quest’anno la data particolare 11.11.2011 realizzando una doppia catasta che forma appunto il numero 11, mentre il rione dei Molineri ha realizzato una catasta altrettanto inedita che ha la forma di un mulino a vento per sottolineare el rione de Molin. Pubblichiamo volentieri l’inedita e simpaticissima filastrocca di Giorgia Felicetti e Martina Piazzi che hanno voluto scrivere per San Martin 2011, e chissà che con tutte queste novità la festa non possa diventare anche occasione per festeggiare l’idea più originale per valorizzare questa bella tradizione tutta predazzana.
Ma da dove nasce la tradizione dei fuochi di San Martino?
Poco dopo il suono dell’Ave Maria, quando ormai sono passate le otto, si accendono improvvisamente fuochi grandiosi sui fianchi delle montagne. E’ punto di orgoglio dei vari rioni riuscire a far salire le fiammate più in alto di tutti.
Mentre i fuochi ardono, dall’alto piovono rintocchi isolati di campanacci, suoni di corno di vacca o di capra che preludono alla seconda parte della festa tradizionale, non più soltanto visiva, ma sonora. Infatti, mentre i fuochi si abbassano, da essi i gruppi rionali si precipitano nella piana del paese scuotendo
http://youtu.be/DhjJO7HQyvo
campanacci e bidoni, battendo ogni oggetto che faccia rumore, dalla sega circolare infilata in un palo, sostenuta da due giovani e percossa da un terzo, ai recipienti di latta; ci sono corni, trombe, tromboni e trombette, tamburi e tamburelli.
Nella festa mancano del tutto le tradizioni culinarie ed anche un costume tipico (segni quanto mai chiari della miseria in cui si sono tramandati questi riti propiziatori). I giovani dei due sessi vestono modestamente, tutt’al più rispolverano certe vecchie “braghe” o gilè o i lunghi mantelli neri di una volta;
numerosi i cappellacci, gli zoccoli e gli scarponi.
Tutti i gruppi, immersi in un baccano assordante, percorrono a passo svelto le vie del paese per ritrovarsi in piazza dove contemporaneamente cercano per un minuto di estrarre dal loro strumento il suono più alto, potente e stridulo.
La tradizione dei fuochi di San Martino si è rinvigorita negli ultimi anni sia nella grandiosità e sonorità della manifestazione serale che in tutte le fasi preparatorie che la precedono per tutto il mese di ottobre. La raccolta della legna tiene impegnati numerosi ragazzi che vi dedicano i tiepidi pomeriggi d’autunno: cercano rami, piante secche, d’abete, di larice e pino. Quest’attività è in parte segreta perché la maestosità della catasta deve apparire solo nel giorno di San Martino. Nella settimana che precede San Martino i ragazzi si impegnano nella corsa all’accaparramento dei campanacci presso quei pochi contadini che ancora li conservano gelosamente.
Riguardo all’origine della festa ben poco si può dire: fino a qualche decennio fa questa tradizione era più semplice, limitata ai fuochi intorno ai quali i giovani giravano agitando vecchie scope infuocate. Quest’ultimo particolare ci ricorda i riti magici. Il fuoco stesso è elemento indispensabile in ogni stregoneria.
Popolarmente si crede anche che l’11 novembre avvenisse in tutte le comunità rurali il regolamento dei conti, dei fitti, dei prestiti, dei debiti: a Predazzo in particolare la Regola Feudale “spartiva”, distribuiva un dividendo dei proventi ricavati dallo sfruttamento agricolo e forestale della montagna del Feudo (Monte Feudo) tra tutti i capifamiglia “vicini” che costituivano una parte notevole – due terzi circa – di tutti i “fuochi” o famiglie. Nulla quindi di meglio che celebrare la fine di un debito o la soluzione di un pegno con un po’ di castagne e vino (comperati fuori valle) alla luce dei falò, nella speranza che l’inverno imminente si presentasse fertile e mite.
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