A conclusione della stagione estiva, dal 27 agosto al 1 settembre, il Museo geologico delle Dolomiti…
Dopo la metà dell’ottocento, la miseria era una piaga molto diffusa in gran parte della popolazione predazzana, sia per la mancanza di lavoro retribuito sia per la carenza di lavoro singolo e solo le persone o famiglie catalogate sotto la parola “benestanti” avevano un tenore di vita migliore ed erano coloro che possedevano alcuni animali e un bel pezzo di terra da coltivare, un lavoro sicuro oppure un lavoro che coinvolgeva l’intera collettività del paese, come il Podestà,
primo cittadino, il farmacista, meglio conosciuto come “Spezier” il dottore, fonte di aiuto nel bisogno delle malattie,
ed i vari proprietari che possedevano esercizi adibiti al consumo per la collettività.
La miseria portava l’essere umano a chiedere, molte volte con vergogna la carità, ed era prevalentemente affidata ai bambini, che dopo la scuola andavano a mendicare nelle case e nei pochi negozi del paese, cercando di racimolare qualcosa da poter portare a casa ed in modo particolare si presentavano all’entrata dei caseifici quando gli allevatori del paese, portavano il ricavato della mungitura, per essere pesata e catalogata nel registro della lista dei versamenti, per ottenere una piccola porzione di latte e muniti di piccoli secchielli , aspettavano il loro arrivo, sperando di poter ottenere una piccola dose di latte appena munto, e quando il contenitore era quasi pieno correvano a casa per svuotarlo e poi ritornavano sperando sempre in una nuova raccolta. La “Mosa”, il caffè-latte con le patate “Rostide”, le “Garnele” e altro, erano garantite.
Il dilagare di questa disperazione, fece prendere al Comune la decisione di bandire la carità durante la settimana, lasciando solo il sabato come giorno disponibile ad esercitarla.
L’idea era stata copiata dal Comune di Mezzolombardo, che già da tempo l’aveva introdotta con ottimi risultati, e così anche i commercianti del paese presero ad accumulare le rimanenze della settimana per poi distribuirle il sabato, giorno prestabilito come forma di sostegno ai bisognosi, evitando così le code giornaliere che potevano anche infastidire la normale vita commerciale degli esercenti. Ma il problema era solo in piccola parte risolto, così il Comune decise di allestire una cucina per i poveri.
Fu trovata la sede nella casa “Giorgiat” dove era già era sede di un caseificio e nei piani superiori era ubicata la scuola elementare maschile. Tutti coloro che volevano usufruire di questa iniziativa di sostegno, dovevano presentare all’ufficio comunale una domanda scritta , dove veniva elencato il reale stato di famiglia povera, poi confermato dal controllo in loco degli ufficiali comunali addetti, quindi potevano avere il diritto di usufruire di un pasto caldo al giorno.
Veniva anche data la possibilità, per chi poteva avere questa fortuna, di avere una maggiore porzione di cibo, versando qualche fiorino al momento del ritiro. La cucina venne fornita di due grandi paioli di rame, dove in uno veniva cotta la polenta, nell’altra la zuppa che generalmente era d’orzo, solo nel periodo estivo veniva cotto il minestrone, reperito nei vari orti ed il tutto saporito da qualche pezzo di carne recuperato nelle due macelleria del paese.
Per la preparazione del cibo, veniva scelta una donna di buona fama, fidata e capace di prepararlo a dovere ed era affiancata come collaboratore la guardia campestre (addetto da parte del comune per il controllo delle coltivazioni di granaglie nella campagna del paese sia di giorno ma in particolare di notte, contro eventuali razzie da parte di male intenzionati) il quale aveva la mansione di produrre la polenta, per la quale ci volevano braccia forti data la grande massa di cui c’era bisogno. Il loro compenso consisteva nel poter avere una doppia porzione di polenta e di zuppa. La mensa serviva i pasti alle undici, l’ora tradizionale per il pranzo. Compito del comune era quello di preoccuparsi delle provviste dei generi alimentari, mentre la Congregazione di Carità, controllava mensilmente l’elenco dei sussidi ed il numero delle razioni erogate.
La cucina dei poveri venne attivata il primo agosto 1883 e fu chiusa nel 1917. Dopo la grande guerra venne adibita a caserma dei carabinieri. Carlo Felicetti
tratto da “Bolife de storia pardaciana” – Predazzo Notizie agosto 2013
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