PREDAZZO. Lo chiamavano “el Lopez”, e così lo ricorderanno anche in Mozambico dove vive sua…
Poco importa che sia “touch” o no. Quell’apparecchio dà un senso di libertà, indipendenza e sicurezza, viene sempre portato con sé, viene usato ovunque, dà la possibilità di essere raggiungibili e di poter comunicare in qualsiasi momento con il mondo sui social e coi messaggi.
Una modalità di comunicazione, basata sulla rapidità e sulla facilità nel raggiungere l’altro, che potrebbe presentare dei rischi in particolare per le persone workaholic che, già faticano a staccarsi dal lavoro tanto da portarselo anche a casa, nel week end e in vacanza. Risultando così “assenti” nei legami affettivi e familiari.
Il mondo dei giovani è quello più a rischio di sviluppare un uso patologico e, quindi si mira a un lavoro di prevenzione e una nuova forma di educazione.
«Per esempio potremmo usare lo smartphone meno volte al giorno e in modo migliore; potremmo lasciarlo a casa e resistere all’ansia che proviamo uscendo da casa; oppure potremmo perderlo di vista o dimenticarlo volutamente per alcune ore».
Chi invece ha una vera e propria dipendenza dovrebbe ridurne l’uso gradualmente partendo da poche ore al giorno per imparare a ridurre la tolleranza all’ansia dell’attesa e, approfondire nel programma terapeutico i problemi che hanno innescato tale dipendenza.
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