Gianna, la bambina che non doveva nascere

Da il 7 febbraio 2013

Gianna Jessen ha 35 anni ed è sopravvissuta all’aborto effettuato da sua madre. I medici dicevano che non ce l’avrebbe fatta. Invece gira il mondo raccontando la sua storia.

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Gianna Jessen (36 anni), da anni racconta la sua storia per sensibilizzare l’opinione pubblica contro l’aborto.

«Sono qui per dire che ognuno è immensamente amato da Dio, il mio messaggio principale voglio sia questo. Non siamo mai abbandonati qualunque sia la nostra condizione: dobbiamo crederlo con tutto il cuore e, pertanto, lasciarci semplicemente amare». Così Gianna Jessen, americana di 35 anni, ha testimoniato a Firenze in occasione del convegno organizzato per la 35° Giornata per la vita dal Movimento per la Vita fiorentino e l’Arcidiocesi di Firenze dal titolo “La vita è bella, insieme bellissima”, la sua a dir poco eccezionale esperienza di vita.

Insieme a lei, Carlo Casini, presidente nazionale del Movimento per la Vita, Carlo Bellieni, neonatologo, eAssuntina Morresi, componente del Comitato Nazionale di Bioetica, insieme per ribadire la tutela e la sacralità della vita, a cominciare da quella nascente. La storia di Gianna è veramente commovente: la sua mamma biologica decide di abortire nel 1977, a soli diciassette anni, la stessa età del padre, quando è ormai entrata nel terzo trimestre di gravidanza, sottoponendosi, consigliata, alla procedura del cosiddetto aborto salino tardivo. Dopo sette mesi e mezzo di gestazione, in una delle maggiori cliniche americane per aborti, Gianna viene partorita viva nonostante la somministrazione 24 ore prima della soluzione salina il cui terribile effetto è quello di procurare ustioni esterne ed interne al feto e di soffocarlo.

Cosa è successo poi lo ha raccontato Gianna: «Devo la mia vita al fatto che quel giorno il medico abortista non era ancora entrato in servizio e l’infermiera presente ha immediatamente chiamato i soccorsi. Dopo 18 ore ero ancora viva, e così è cominciata la mia avventura umana, fin da subito insieme a Colui che ha voluto che mi salvassi e testimoniassi che i progetti umani non contano nulla di fronte al Suo amore».

Gianna viene adottata in una famiglia quando ha 17 mesi e, nonostante i medici continuavano a ripetere che non ce l’avrebbe fatta, la bambina migliora grazie alle tante ore di fisioterapia fatte insieme alla  mamma  Penny che dedica la sua vita a lei. «Devo tutto a mia madre – prosegue Gianna – che, con tanta forza e non smettendo mai di pregare, ha creduto ai progressi che stavo facendo, come, ad esempio, alzare la testa. A tre anni camminavo con dei tutori e un deambulatore, un vero e proprio miracolo.

Ho fatto tanta fisioterapia anche dopo l’operazione chirurgica a 10 anni. Adesso zoppico ma va bene. Ho avuto un trauma cerebrale a seguito del tentativo di aborto ma, credetemi, il problema non è questo, anzi, la vita è addirittura più interessante così. Voglio dire a tutti, però: se l’aborto è una questione dei diritti delle donne, dove erano i miei diritti quel giorno? E’ terribile arrogarsi il permesso di decidere della vita di una persona, anche e soprattutto quando ha qualche problema. Siccome il bambino è disabile, per intendersi, meglio interrompere la gravidanza, come se la qualità della vita e l’anima dipendessero dalla forma del corpo. Sono i deboli, sempre messi in disparte, a possedere la luce di Dio».

Gianna  è spesso chiamati in vari luoghi del mondo per raccontare la sua storia e lo fa con umiltà ed entusiasmo. Il desiderio è quello di essere d’aiuto, di portare un messaggio di speranza. «Non so se mi sposerò mai, mi sento la “bambina di Dio”, come minimo desidero un uomo che mi ami quanto Lui!», ha detto sorridendo. «Nessuno può dirvi chi siete e che cosa potete o non potete fare, come i medici che negavano qualsiasi possibilità di progredire.

La mia missione è questa: dire a chi ha il cuore spezzato che non è dimenticato, che può essere libero e opporsi alla violenza, al dolore, alla crudeltà che spesso sono nel mondo».

Gianna ha voluto ricordare che, fino addirittura al 2002, in America era concesso di sopprimere la vita di un bambino sopravvissuto all’aborto mediante strangolamento, soffocamento o lasciandolo in disparte fino al raggiungimento della morte. Ma sotto il governo Bush, è stato emanato nel 2002 il “Born Alive Infants Protection Act“, una legge che assicura l’assistenza e le cure al sopravvissuto di qualunque pratica abortiva. «Dalle avversità può nascere una grande gioia. Io non posso stare in questo mondo senza testimoniare l’amore di Cristo che ogni giorno ringrazio per il dono della vita che mi ha voluto fare nonostante l’odio degli uomini. Ben poca cosa rispetto alla Sua misericordia», ha concluso Gianna.
Alessandra Turchetti – Famiglia Cristiana 07/02/2013

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