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23 agosto 1939: i ministri degli esteri tedesco e sovietico firmano un patto di non aggressione. Di fatto è la spartizione dell’Europa nord orientale, perfezionata il mese successivo, dopo l’inizio della guerra mondiale. A lungo gli storici comunisti hanno difeso quei patti. Non così Angelo Tasca, che pubblicò un volume ora tradotto dal professor Michele Millozzi dell’Università di Macerata. Ilsussidiario.net lo ha intervistato.
Qual è stato l’itinerario esistenziale e politico di Angelo Tasca e quale ruolo riveste in esso il saggio sul patto Molotov-Ribbentrop, di cui lei recentemente ha curato la riedizione?
Angelo Tasca, nato a Moretta, in Piemonte, nel 1892, e scomparso a Parigi nel 1960, uomo politico, giornalista, storico di riconosciuto valore si propone quale figura di spicco nella storia politica del “primo” Novecento. Giovane socialista nella Torino degli anni Dieci, tra i fondatori de «L’Ordine Nuovo» nel 1919, comunista e leader comunista dal 1921, chiamato nel 1926 nell’esecutivo del Komintern, espulso dal movimento comunista nel 1929 per essere entrato in rotta di collisione con Stalin, si stabilisce da allora definitivamente in Francia rientrando nelle fila del socialismo italiano, ma opponendosi alla linea dell’unità di azione con il comunismo sostenutavi da Nenni; entra, poi, nel partito socialista francese.
Anticomunista, non meno che antifascista, nel 1939 condanna i Patti stipulati dai “due fratelli nemici, la Germania Hitleriana e la Russia Staliniana”; nel 1940, dopo la disfatta francese che vive come un’ “apocalisse”, aderisce a Vichy nella convinzione che il generale Pétain da lì potrà avviare l’opera di ricostruzione morale del Paese, ma dal febbraio 1941 inizia a “lavorare” per la Resistenza belga e francese.
Nel secondo dopoguerra, abbandonata la politica attiva, torna al giornalismo schierandosi – intellettuale militante ed engagé – nella sopravvenuta “Guerra fredda” dalla parte dell’Occidente.
Tra la fine degli anni Quaranta e i primi Cinquanta, pubblica non pochi studi politici e storici tra i quali, proprio nel 1950, l’edizione italiana di quel classico della storiografia sull’argomento che è “Nascita e avvento del fascismo”, apparso in Francia nel 1938; tra il 1950 e il 1952 collabora assiduamente a «Il Mondo» di Mario Pannunzio.
Preceduta dall’edizione francese del 1957, vede la luce in Italia, nel 1958, “Autopsia dello stalinismo”, disamina acuta e appassionata del «Rapporto Kruscev» del febbraio 1956, ultima opera di Angelo Tasca nella quale, con sapienza e metodo, si muove efficacemente tra attualità politica e storia.
Per quanto riguarda il saggio “Le pacte germano-soviétique. L’histoire et le mythe,” pubblicato nella collana della rivista “Preuves”a Parigi nel 1954 (non a caso nel pieno del dibattito sulla poi fallita costituzione della Comunità Europea di Difesa) che ho provveduto a tradurre, commentare e introdurre, c’è da dire che, a mio parere, presenta più piani di lettura.
È, senza dubbio, un’appassionata, vivace, dura e talvolta ironica confutazione della lettura comunista dei Patti nazi-sovietici del 1939 e, in quanto tale, ha pure tutte le caratteristiche del pamphlet di un intellettuale decisamente e scopertamente schierato in quegli anni di radicale contrapposizione ideologica e politica; allo stesso tempo, però, la corretta ricostruzione e la fine interpretazione degli eventi, fondate su un’adeguata documentazione non strumentalmente utilizzata, ne fanno una esemplare lezione di metodo storico.
Quali erano i contenuti reali di quel Patto?
In effetti occorre precisare che tra Germania nazista e Unione Sovietica, nelle persone dei ministri degli Esteri Ribbentrop e Molotov, furono sottoscritti due trattati: l’uno, il 23 agosto 1939, l’altro, il successivo 28 settembre. Il primo effettivamente denominato Patto di non aggressione, il secondo, invece, reso noto come Patto d’ amicizia e di delimitazione di confini, locuzione, questa, che registrava, allo stesso tempo, sia un’ evoluzione nella direzione di un significativo avvicinamento dei due regimi totalitari, sia una vera e propria avvenuta spartizione di territori occupati tra l’una e l’altra data.
L’accordo firmato a Mosca nella notte tra il 23 e il 24 agosto conteneva un protocollo segreto riguardante “le sfere di interesse di Germania e Urss” e gli eventuali “mutamenti politico territoriali” negli stati baltici – Finlandia, Estonia Lettonia e Lituania – e in Polonia; quello del 28 settembre assumeva, fondamentalmente, in questa direzione il ruolo di modifica, di rettifica e, per così dire, di “aggiornamento” della precedente intesa alla luce della mutata realtà politico-territoriale intervenuta. Infatti, in seguito alle operazioni belliche intraprese in quell’area da Germania e Unione Sovietica, con l’ accordo di settembre, in difformità a quanto stabilito in precedenza, esse provvedevano a far ricadere anche la Lituania, oltre le già previste Estonia e Lettonia, sotto il controllo sovietico, mentre il “governatorato” di Lublino e parte di quello di Varsavia venivano fatti entrare nell’orbita di occupazione nazista. Lo stato polacco scompariva, spartito tra i due occupanti.
Due note a margine e conclusive.
Appare significativo, a ulteriore testimonianza dell’unità di intenti e d’azione che in questo periodo lega i due totalitarismi, il secondo protocollo segreto inserito nella stipula dell’accordo del 28 settembre 1939, protocollo che recita: «Urss e Germania dichiarano che non tollereranno nei loro rispettivi territori nessuna azione di protesta polacca che riguardi l’altra parte. Essi soffocheranno sul nascere nel loro territorio di competenza ogni iniziativa di questo genere e si terranno reciprocamente al corrente delle misure appropriate adottate a tal fine».
Non meno rilevante il fatto che l’Unione Sovietica abbia negato sino al dicembre 1989 l’esistenza dei protocolli segreti, poi emersi dagli archivi sovietici durante la presidenza di Boris Eltsin.
Quale la responsabilità degli storici e degli intellettuali in genere nel travisare la lettura di questi fatti?
Ritengo che per lo stato sovietico, negli anni del “secondo” dopoguerra, nel clima della “guerra fredda” e sino, appunto, alla sua scomparsa, ai primi anni Novanta che segnarono la sua dissoluzione, fosse quanto meno imbarazzante dover ammettere che vi era stato un tempo di formale alleanza con l’altro, antitetico totalitarismo nazista, alleanza peraltro stipulata in una prospettiva di carattere imperialista.
Dunque, il problema che si pose all’Unione Sovietica all’indomani del conflitto mondiale fu quello (nell’impossibilità oggettiva di negare l’esistenza dei Patti del 1939) di negare l’esistenza dei protocolli segreti che vi erano contenuti e che loro conferivano il significato più autentico (vera e propria alleanza politico-militare, vera e propria spartizione dei territori occupati). Si glissava sull’accordo del 28 settembre e si puntava, soprattutto, sulla denominazione attribuita al primo dei due e, cioè, su non aggressione, Patto di non aggressione, patto che, a questo punto l’Unione Sovietica poteva giustificare e giustificò nella necessità di guadagnare tempo per organizzare quelle forze che, dopo il giugno 1941, avrebbe rivolto contro la Germania nazista. Ma si andava oltre: addirittura, considerato l’esito della guerra, questa lettura faceva sì che quel Patto venisse accreditato quale elemento “determinante” per la conclusione favorevole della Seconda guerra mondiale.
Ora, la pretestuosità di tale argomentazione è facilmente confutabile ma, prescindendo da altre possibili controargomentazioni, è sufficiente, per rimanere ad Angelo Tasca, rifarsi a questa sua tanto ovvia quanto non controvertibile affermazione: «Non è stato Stalin ad entrare in guerra contro Hitler, ma Hitler contro Stalin che, alla vigilia dell’attacco della Wehrmacht, ha fatto di tutto per evitarla».
Ciò detto, all’indomani della fine della guerra, la versione del Patto fornita dall’Unione Sovietica diventava, ipso facto, la versione ufficiale del comunismo internazionale sul tema: versione da diffondere e diffusa in Occidente e tanto più accreditabile quanto più importante e incisiva era la presenza dei partiti comunisti (e/o socialisti ad essi alleati) nei Paesi dell’Occidente.
Com’è noto, in ambito europeo, i maggiori partiti comunisti si trovavano in Francia e in Italia, soprattutto: qui la lettura moscovita del Patto veniva avallata e avvalorata da quell’egemonia culturale comunista imposta dai vertici del partito nell’immediato dopoguerra e protrattasi, malgrado la fuoruscita di non pochi intellettuali, dalle file marxiste nel 1956 e nel 1968, sino alla seconda metà degli anni Ottanta.
Nel clima della “guerra fredda”, in Italia (a differenza della Francia, ove la militanza intellettuale non marxista sembrava a quel tempo avere maggior seguito e coesione) trovare spazi e lanci adeguati alla circolazione di una differente, non strumentale e non conformista lettura del Patto nazi-sovietico del 1939 era problematico.
Angelo Tasca farà le spese di questa difficoltosa situazione: dei suoi due libri dedicati al Patto, il primo, “Due anni di alleanza germano-sovietica”, uscito nel 1949 in Francia e nel 1951 in Italia nella traduzione di Aldo Garosci, avrà scarsa risonanza; il secondo, “Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda”, presente nell’edizione originale francese in più biblioteche pubbliche italiane dal lontano 1954 , verrà del tutto ignorato.
Il Sussidiario giovedì 20 agosto 2009
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