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Domenica, 14 giugno 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica le risposte ad alcune domande riguardanti l’aborto elaborate da Carlo Casini, già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Casini è inoltre Presidente del Movimento per la Vita italiano, membro della Pontificia Accademia per la Vita e docente presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma.
Perché sull’aborto la Chiesa vuole imporre le proprie idee anche a chi non crede?
Il pensiero cristiano non riguarda solo l’aldilà, ma anche i rapporti tra gli uomini. La regola d’oro, “ama il prossimo tuo come te stesso”, ha un valore non solo morale, ma anche civile. Chi potrebbe dire che la Chiesa non può esortare al rispetto del comandamento “non uccidere” perché si tratterebbe di un precetto religioso? Al fondo della ridicola obiezione che la Chiesa non deve imporre la Fede a nessuno sta il presupposto che il bambino concepito non sia un bambino, che il figlio sia una cosa e non un essere umano. Ma questo è proprio contro la ragione e la scienza. Quando i credenti chiedono allo Stato di difendere il diritto alla vita non impongono proprio nulla. Si limitano a chiedere, e nelle democrazie chiedere significa anche votare e proporre leggi. Una legge che difende i diritti dei bambini non nati non è una legge di culto: non impone di andare a Messa la domenica, di digiunare in Quaresima o di pregare ogni giorno!
L’aborto non offende solo la visione religiosa dell’uomo, ma anche – e prima ancora – la ragione e la base stessa della società civile, la quale si costituisce e si organizza proprio per difendere la vita di tutti. Chi invoca il principio di laicità per legittimare l’aborto non sa quello che dice. La vera laicità non consiste nel contrastare la Chiesa e neppure nel ritenere di uguale valore tutte le possibili opinioni. Essa è un atteggiamento di fiducia nella ragione, come patrimonio comune che consente a tutti gli uomini di lavorare insieme, e si riconosce in un unico unificante valore: la uguale dignità di ogni essere umano, anche a prescindere da una Fede religiosa (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).
Eppure si legge continuamente che la questione dell’aborto e della legge che lo regola investe qualcosa di più dell’aborto stesso. Riguarda la stessa concezione dello Stato laico. Come rispondere?
E’ vero. E’ proprio così, ma in senso esattamente opposto a quanto pensano i sostenitori di un potere statale libero di decidere sulla vita o sulla morte degli esseri umani senza alcun limite. La laicità dell’azione civile è cosa molto positiva e importante. Essa si oppone allo stato confessionale che ha caratterizzato la storia anche europea per molto tempo e che ancora oggi esiste specialmente nel mondo musulmano. E’ Stato confessionale quello che pone la forza della legge civile a servizio della Fede, la quale, così, viene imposta ai cittadini dalle autorità civili. Molte guerre religiose sono state scatenate in passato da questa visione. Il principio “cuius regio eius et religio” stabiliva la regola che il popolo doveva seguire la stessa Fede e pratica religiosa del Re o del Principe. Fortunatamente, la modernità rifiuta questo modo di vedere il rapporto tra Fede e società civile.
La religione è il territorio più vasto della libertà e non può essere imposta. I cittadini sono in grado di vivere e di lavorare insieme anche se hanno pensieri diversi su Dio e sul destino della storia e delle singole vite umane. Ma questa possibilità di cooperazione pacifica e fruttuosa di tutti gli uomini in quanto tali suppone qualcosa di comune. In effetti, tutti possiedono la ragione, che è lo strumento con cui l’uomo può vedere la strada per camminare. Inoltre anche la direzione fondamentale del cammino è comune: la promozione della uguale dignità umana, come sta scritto nei più solenni e laicissimi documenti dell’umanità del nostro tempo, come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Non è dunque vero che “laico sia l’atteggiamento di chi nega in radice qualsiasi verità”.
Vi sono due aspetti che non possono essere messi in discussione: la fiducia nella ragione e il valore dell’uomo. Vi è dunque un concetto nobile di laicità che tocca il diritto alla vita e dunque anche la questione dell’aborto. Anzi, proprio il riconoscimento del valore di ogni essere umano e quindi anche di colui che non è ancora nato è fondativo e confermativo della laicità . La visione cristiana dell’uomo non è in contrasto con la coscienza laica. Al contrario, proprio perché il cristianesimo rivela l’origine ultima e i contenuti più profondi della dignità umana, consolida quanto ogni uomo con la sua ragione intuisce o postula. Proprio nella questione antropologica, così come oggi si pone, si verifica un capovolgimento prezioso: non è più la forza dello Stato che aiuta la religione, ma al contrario è la Fede che sostiene la società civile nel suo obiettivo di fondo.
Che dire della pretesa di considerare l’aborto un diritto umano fondamentale?
Questa tesi è stata sostenuta particolarmente nella Conferenza su “popolazione e sviluppo”, promossa dall’ONU al Cairo nel 1994, ma non ha trovato accoglienza nel piano finale di azione, dove fu usata la forma di compromesso: “L’aborto non può essere promosso come mezzo di controllo delle nascite”. Ma, certamente, se viene negata l’identità umana del concepito, se l’aborto viene considerato uno strumento di tutela della salute, se i valori da perseguire sono soltanto la libertà e l’emancipazione della donna, allora diventa difficile non iscrivere l’interruzione della gravidanza nell’elenco dei diritti umani, mentre, al contrario, proprio il riconoscimento dell’uomo e della sua uguale dignità fin dal suo primo comparire nell’esistenza consolida tutta la teoria dei diritti umani. Essi perdono forza se non ne identifichiamo il titolare. E’ inutile un elenco di diritti se è incerto il soggetto che li possiede, o peggio se gli Stati pretendono di definirlo autoritativamente con l’effetto di violare il principio di uguaglianza qualora vengano usati criteri restrittivi. Appare dunque evidente che di fronte all’embrione racchiuso nel seno materno o chiuso in una provetta la dottrina dei diritti umani si trova di fronte ad una svolta che può essere positiva (il suo consolidamento) ovvero dalle tragiche conseguenze, se l’uomo è negato. Ciò rivela il carattere tutt’altro che marginale della “questione antropologica”.
Riguardo alla Legge 194, se da un lato molti parlano di un diritto all’aborto, altri dichiarano che la legge non lo considera un diritto. In realtà, dal punto di vista dell’ordinamento giuridico positivo italiano, esso è un diritto quando se ne sono verificate le condizioni formali e sostanziali.
Infatti, secondo l’ultimo comma dell’art. 8, il documento e il certificato rilasciato alla donna dal medico costituiscono “titolo” per eseguire l’intervento, che dunque non può essere negato perché la donna ha il diritto di ottenerlo. Peraltro, l’ indicazione della Corte Costituzionale vorrebbe confermare una sorta di “stato di necessità” particolare, perché legato alla singolarità della gravidanza. Ne dovrebbero derivare conseguenze pratiche di rilievo specialmente in materia di risarcimento del danno per un aborto non riuscito o per una malformazione del figlio non individuata. Non è il caso di insistere in questa sede su questo complesso problema giuridico. In ogni caso è da escludere che anche nella Legge 194 l’aborto possa essere considerato come un diritto umano fondamentale.
Per chi volesse approfondire il tema, consigliamo la lettura del libro di Carlo Casini “A trent’ anni dalla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza” (Edizioni Cantagalli – Marzo 2008).
[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. I diversi esperti che collaborano con ZENIT provvederanno a rispondere ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]
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