La Provincia spende 65mila euro contro il disimpegno di chi va a scuola CAVALESE…
Le aquile del Trentino sono davvero furbette, con il loro elegante volteggiare nei cristallini cieli dolomitici riescono a volte ad intrecciare nelle loro evoluzioni anche le storie di noi uomini che da terra le ammiriamo estasiati con il naso all’insù.
E’ successo questa settimana, tra la Val di Fiemme e la Val di Non. Dopo aver pubblicato il video “Il volo dell’Aquila nel cielo di Fiemme” ho ricevuto con sorpresa un messaggio privato di complimenti per il video (del resto girato artigianalmente con la sola macchina fotografica), da un signore che di video se ne intende per davvero. Per la verità non ha voluto (per ora) svelarmi il suo ruolo all’interno di progetti televisivi e di produzioni di film. Di certo ha avuto un ruolo importante nel preparare le riprese nelle nostre valli della fiction “Sposami” che andrà in onda in primavera in TV e nel nuovo film tutt’ora in produzione ”Vanità delle vanità” girato in parte in Val di Non.
Ci siamo scambiati diversi messaggi, eccone uno che ho ricevuto e che vorrei condividere ora con voi. (anche il titolo di questo post è suo)
“In relazione al video di Mauro sul volo dell’aquila, vi allego il racconto del Direttore di Produzione del film “Itaker”, Stefano Carbutti, che ha scritto a conclusione del film girato per due settimane in Trentino.
Il titolo prende appunto spunto dall’avvistamento di un aquila, sopra i cieli del Santuario di San Romedio, domenica 20 novembre, mentre stavamo facendo una visita al santuario. Santuario tra l’altro sede di alcune scene del nuovo film di Giorgio Diritti, che finisce le riprese qui in Trentino. (vedi articolo da Il Trentino: S.Romedio diventa un set del cinema)
Il nuovo film di Giorgio Diritti, regista che con “Il vento fa il suo giro” e “L’uomo che verrà” ha conquistato riconoscimenti importanti, di pubblico e di critica. Il suo nuovo lavoro – ”Vanità delle vanità” – è stato girato tra la città di Trento, la funivia che porta a Sardagna e il santuario di San Romedio, in val di Non.
Ecco il racconto di Stefano Carbutti:
I camion si muovono prima dell’alba. Uno dopo l’altro i motori rombano annullando il silenzio notturno del piccolo centro abitato nel quale hanno dormito per tre giorni, week end di prove costumi e ferventi preparativi.
In fila indiana, fendendo il buio, si arrampicano sulla statale che solca i boschi nel cuore della Val di Non; cinque giganti bianchi con la pancia piena di un intero film da girare. Percorrono la strada che taglia a mo’ di enorme ferro di cavallo la frazione di case sparse nella vallata dove sono ubicati gli esterni ed il maso, teatro dei primi due giorni di riprese: “è una meraviglia, dovrebbero dichiararlo patrimonio culturale” proclamerà in seguito lo scenografo, entusiasta. Gli abitanti del luogo sembrano non accorgersi di nulla mentre, nell’oscurità, vengono posizionati i mezzi tecnici sul prato a bordo strada, vicino al set; quelli che formano il campo base si sistemano sullo spiazzo di fronte alla casa di un gentile signore il cui cognome lo accomuna a quasi tutti i suoi compaesani, parenti o meno che siano. Lui non dà peso alla levataccia alla quale lo costringiamo con i nostri rumori. Di sicuro non siamo noi a svegliare il padrone del maso da museo nel quale ci insedieremo per l’intera giornata; quando arriviamo è già nella stalla da un po’ a mungere le mucche, il suo prezioso tesoro. Sorride. Credo lo faccia sempre con gli stranieri; lo ha fatto con noi invasori molto invadenti, seppur pacifici, fin dai primi sopralluoghi. Ridiamo con lui. Meravigliosamente umile, del suo poco ci dà tutto, osservandoci col suo sguardo sereno e meravigliosamente malinconico.
Piove. Il primo giorno poco male, siamo dentro. Il giorno successivo va peggio, giriamo gli esterni. Immagini che bisogna comunque portare a casa. La splendida vallata trentina appare e scompare tra le nubi basse, mostrando ora la bellezza delle sue montagne boscose impressionisticamente dipinte dall’autunno inoltrato, ora la silhouette degli alberi che sbucano come spettri silenziosi tra la densa foschia. Suggestivo scenario in continuo mutamento, una spina nel fianco per il direttore della fotografia che, in ogni caso, sa il fatto suo. La troupe si muove sull’erba bagnata di un campo il cui padrone, rintracciato una sera in una stalla in Alto Adige, con forte accento tedesco ci ha concesso di calpestare indisturbati pretendendo in cambio soltanto una stretta di mano.
E’ una faticaccia. Per alcuni finisce tardi a chiudere il set sotto l’acqua, di nuovo al buio, salutati da chi ci ha ospitato; poi a scortare la carovana nelle locations dei giorni a venire…
…Una casa ultracentenaria disposta su più piani, dai pavimenti antichi e le mura affrescate e offese da un vecchio terremoto, dislocata in un paese di poche centinaia di anime il cui sindaco “operaio” ci accompagna di persona durante i sopralluoghi logistici.
Un’altra splendida costruzione allestita a museo nel paese vicino, con lo stesso accento nel nome e una sindachessa “guerriera” che diventa componente onoraria della troupe. Collaborano mettendosi a nostra disposizione, come la gente che ci osserva incuriosita e divertita, ci coccola, ci offre case e cose.
Tutti attendono trepidanti l’arrivo del grande attore. Che, finalmente, arriva. E si concede generosamente; lieve e disponibile con la gente, severo e professionale sul set.
Film a low budget; giornate durissime che cominciano sempre prima dell’alba e finiscono sempre tardi, dopo cena, tra l’esame della giornata conclusa, le verifiche per quella che verrà, un saluto all’amministrazione e la scelta, insieme all’aiuto regista, dei proverbi infernali di William Blake da inserire negli ordini del giorno futuri…
…Il piccolo Eremo situato sopra una roccia ferita da uno squarcio profondo novanta metri, con l’acqua sul fondo e un vecchio ponticello che lo sovrasta da secoli, è un gioiello inaccessibile per i nostri mezzi pesanti. Due trovano posto sul bordo della provinciale di fronte al cancello d’ingresso, gli altri nell’enorme parcheggio del magazzino del colosso industriale del luogo. E’ irritante la diffidenza con la quale il manager della grande azienda ci accoglie, così come lo sguardo torvo col quale ci squadra di traverso per parecchi minuti negandoci quello che chiediamo: il posto per tre camion all’interno di un parcheggio enorme, nel quale non riusciremmo ad essere d’intralcio nemmeno se volessimo farlo. Elenca i motivi per i quali non può concederci quel pochissimo del tanto che gestisce dietro profumato compenso e che non è nemmeno suo. Per poi negarli, divenendo improvvisamente generoso quando stiamo per andarcene scusandoci per il disturbo arrecato. Incassiamo, ridendo di lui.
Il piccolo Eremo richiede organizzazione perfetta ed efficienza operativa perché la giornata non si riveli un disastro. Invece è un trionfo professionale per il reparto di produzione. La vera emozione, però, la regala il coro alpino che canta a cappella dentro la microscopica chiesa. Il commovente commiato dalla Val di Non.
Film a low budget, lavoro senza tregua. Per qualcuno. Bisogna curare il primo, breve trasferimento…
…La città si percorre facilmente in bicicletta ed anche a piedi, a patto di non essere troppo pigri o viziati. Il centro storico è un delizioso salotto pedonale popolato da ragazzi e ragazze in piena salute. C’è l’università, ci sono i teatri, i cinema, la cultura si respira nell’aria. Si mangia benissimo. I negozi chiudono presto.
La nuova location è poco fuori della periferia, in un agriturismo nel quale riusciamo ad infilarci con tutto il circo, grazie alla bravura e alla disponibilità degli autisti. Nessuno spostamento per qualche giorno, un problema in meno ad inizio e fine lavorazione. Qui, però, le rogne sono altre.
Il set è un locale ampio, alto e, soprattutto, freddo. Troppo per l’attrice protagonista. Cerchiamo di scaldarlo con quello che abbiamo a disposizione. Lei pazienta, poi si lamenta, poi capisce e si accontenta di quel po’ di tepore che riusciamo ad ottenere.
Ci sono le comparse; tante il primo giorno, meno in quelli successivi. Bisogna trovare uno spazio dove farle cambiare, farle stazionare quando non servono in scena, farle mangiare. Sempre al caldo, possibilmente. I mezzi sono pochi, dedizione e lealtà traboccano; il reparto costumi fa miracoli recuperando ritardi causati da altri; la graziosa capogruppo si fa in quattro per gestire al meglio la “mandria” con tenera fermezza.
E poi ci sono gli attori principali, che sono tanti e girano più o meno tutti insieme. Il giovane regista cerca di estrarre dai suoi attori le emozioni che caratterizzano i personaggi, gli chiede di distillarle goccia a goccia provando a guidare ogni istante delle loro performance. Il giovane regista sa bene quello che vuole e lo ricerca con grande attenzione e dedizione, ma non sa come ottenerlo; gronda di passione a dismisura, molto meno di esperienza. Forse vorrebbe che il tempo si fermasse.
Il tempo è il nemico numero uno del giovane regista.
Tirando in ballo nomi leggendari, il grande attore gli ricorda davanti a tutti che essere un regista significa rischiare. Se va male diranno: “Chi è quel coglione che ha girato questa schifezza?”. Se va bene “ti daranno l’oscar”. Ma bisogna scegliere una strada e avere il coraggio di percorrerla. “Bisogna essere umili”, incalza, “io sono qui a tua disposizione, fai di me ciò che vuoi. Ma fai qualcosa”. E’ una scena fuori copione ed è una lezione spietata, una pagina di cinema splendida e pessima allo stesso tempo. Dipende dai punti di vista.
Il grande attore è anche il produttore del film. Quando lui è in scena il lavoro cambia “direzione”. Il giovane regista incassa, sembra vacillare ma non molla. Ha un cuore indomito.
Film a low budget, tribolazioni senza fine. Non per tutti. C’è la conferenza stampa, i più brindano e si rilassano mentre qualcun altro si sbatte per far uscire i camion dall’ingresso infame di quel posto, bloccando la strada a suon di urla, con le torce e i giubbotti fosforescenti. È di nuovo buio, ci aspetta il trasferimento in altro comune; l’ultima location italiana…
…La vecchia fabbrica è enorme e spettrale, pura archeologia industriale, una meraviglia architettonica nella quale si potrebbero ricavare migliaia di set diversi l’uno dall’altro. Chissà cosa ne faranno.
Noi giriamo a ridosso del muro di cinta fuori del quale ci sono i camion pronti per il grande trasloco, un altro obiettivo fondamentale da conseguire entro il termine della lavorazione.
Arrivano i mezzi di scena: la stupenda Opel Kapitaen, una Mercedes PonTon e il pulmino VolksWagen T1, quello leggendario. Tutti più o meno puntuali e tutti vecchi almeno di cinquant’anni, ma perfettamente funzionanti per la scena dell’imboscata. Qualcuno vorrebbe “tagliare” qualcosa per semplificare i movimenti e guadagnare tempo. L’aiuto regista con i capelli rasta ed i modi gentili è un tipo in gamba che capisce lo sforzo organizzativo ed economico e fa in modo che le auto vengano impiegate tutte e tre. E la scena viene anche meglio. L’ispettore di produzione ripaga la cortesia andando di persona a scovare l’appartamento in cui stanno rifacendo un bagno e chiedendo di fermare il frullino e il martello pneumatico almeno tra l’azione e lo stop. Fonico e microfonista ringraziano.
Arriva anche il bilico, un mostro lungo quattordici metri nel quale caricare le attrezzature tecniche, il materiale degli elettricisti e dei macchinisti, quello per il trucco, i costumi, i fabbisogni di scenografia, le cose di produzione e di amministrazione, nonché le valige dei membri della troupe che proseguiranno le riprese. Dovrà partire entro fine lavorazione per un lungo viaggio senza soste verso l’est.
L’ultimo sforzo è una scena riesumata il pomeriggio precedente dopo essere stata rimandata, trasferita e, infine, addirittura annullata. Il set è in un’altra zona dell’imponente struttura, al quarto piano e senza ascensore. Sollecitato dall’ispettore di produzione, il sopralluogo a fine pausa con la regia, il direttore della fotografia, il capo elettricista e il capo macchinista rivela che, se vogliamo girare, possiamo farlo solo con luce naturale. Non c’è tempo per altre soluzioni. Quelli che vanno si muovono a piedi, portando solo l’indispensabile e aiutandosi a vicenda mentre il resto della troupe continua a riempire la pancia del gigantesco camion. Ci sono meno di due ore prima che il sole diventi inutilizzabile. L’ennesima corsa contro il tempo nella quale riusciamo a tagliare il traguardo.
Terminato il trasbordo anche il bilico se ne va, in perfetto orario.
Film a low budget, tour de force fisico e mentale specialmente per qualcuno. Poi, però, finisce…
…La domenica successiva alla partenza della troupe è, per chi rimane, il primo vero giorno di riposo da quando è iniziato questo lavoro. Niente sveglia; gli occhi, però, si spalancano ugualmente presto. Residui di adrenalina nel sangue. Il location manager si è speso anima e corpo per sottoporci la bellezza della sua amata terra. C’è riuscito con la complicità di due alfieri impagabili. Il capolavoro, però, lo compie lontano dagli obblighi professionali. Per amicizia. Il sentiero scavato sul costone roccioso è impressionante e suggestivo e costringe più volte chi lo percorre a piegarsi in due per proseguire il cammino. Il grande Eremo, che presto diventerà il set di un film diverso, adesso è avvolto nel silenzio e nella solitudine. Fa freddo, nonostante l’ennesima stupenda giornata. Inseguiamo gli ultimi raggi del sole che gioca a nascondino con le montagne circostanti, raggiungendoli in cima al Santuario, aggrappati al parapetto di una piccola loggia.
Un’aquila si alza in volo proprio in quel momento, come se ci stesse aspettando. Grandiosa, salendo in cerchi concentrici, volteggiando con noncuranza, ci costringe ad ammirarne a lungo la potenza, regalandoci la gioia di uno spettacolo ineguagliabile…
Stefano Carbutti pubblicato su http://www.radiorock.to
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