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I nuovi «montanari» navigano in internet e abitano baite supertecnologiche a impatto zero. Sono soprattutto giovani famiglie che, lasciato il lavoro in città, vanno a vivere nelle “terre alte”: da bancari a pastori. Più frequentemente si tratta di ritorni al paese dei genitori o dei nonni, ma è in crescita anche una forma di neoruralismo, per nulla romantico ma molto concreto e fondato su basi di tornaconto economico.
Per l’antropologo che studia le comunità di montagna, il futuro è migliore di quanto si pensi. «Internet salverà la montagna? È una delle potenzialità da sfruttare, certamente non l’unica, insieme alle nuove tecnologie non invasive, ecocompatibili e pulite», dice il presidente generale del Cai, Annibale Salsa, ligure di Savona e docente di Antropologia filosofica e Antropologia culturale all’Università di Genova, che oggi chiuderà l’assemblea dei delegati del Club alpino italiano. A Lecco, per due giorni si sono ritrovati i 1.100 delegati in rappresentanza di 308.339 soci (oltre tremila in più rispetto al 2007) di 489 sezioni e 305 sottosezioni, per pianificare i nuovi programmi del sodalizio, sempre più impegnato a valorizzare la montagna e sostenere le popolazioni che la abitano. Comunità che già dovevano fare i conti con un ambiente «difficile e precario» e che oggi si trovano a fronteggiare una crisi, che picchia duro anche intorno a “quota mille”.
«La crisi di oggi – spiega Salsa – è provocata dal fatto che l’economia globalizzata non tiene conto del principio di territoralità, ma veicola un modello planetario regolato dalle categorie della quantità e non della qualità. Invece, la vita in montagna non può prescindere dalla qualità e, anche per questa ragione, le nuove tecnologie, ecocompatibili e pulite, il terziario avanzato, il turismo leggero rappresentano le nuove potenzialità sulle quali la gente di montagna deve lavorare».
Avendo annullato il dualismo centro-periferia, la rete che tutto connette ha avvicinato due mondi, la pianura e la montagna, per secoli divisi da un profondo fossato economico e culturale. Un avvicinamento appena iniziato e ancora ben lontano dall’essere completato, come ben testimonia la nuova “guerra dell’acqua” scoppiata tra la Valtellina e le società idroelettriche di Milano, per lo sfruttamento delle acque di caduta per la produzione di energia.
«La rivoluzione industriale in Italia – spiega Salsa – ha avuto inizio nella fascia pedemontana a sud delle Alpi, proprio grazie allo sfruttamento della forza motrice di fiumi e torrenti. È inaccettabile, però, continuare a ritenere ovvio e scontato che la pianura possa sfruttare a piacere queste risorse. La città non può sottrarre questi beni alla montagna, che non è più, come avveniva una volta, condannata deterministicamente a un ruolo di marginalità». Una condizione, anche psicologica, difficile da scalfire in una popolazione che è colpita da «spaesamento» e da «disagio esistenziale».
«Fortunatamente – aggiunge Salsa – oggi assistiamo a un’inversione di tendenza, a un ritorno alla montagna che fa guardare al futuro con ottimismo. Una forma di neoruralismo che si fonda su modelli agro-silvo-pastorali di nicchia legati alla qualità dei prodotti e degli stili di vita; l’esatto contrario dell’economia globalizzata, rispetto alla quale la montagna sarà sempre perdente».
In questo contesto, anche il Cai è impegnato in una riflessione interna che porti il sodalizio a rappresentare e valorizzare sempre meglio quella “cultura alpina” oggi minacciata da più parti. Una cultura che ha nel “senso del limite” uno dei suoi punti di forza. «In un passato anche recente – conclude Salsa – in montagna il limite era tecnico, imposto dalle condizioni ambientali. Oggi non è più così, perchè con le nuove tecnologie anche la montagna non rappresenta più un ostacolo insormontabile. Per questo motivo è allora urgente costruire una nuova “cultura del limite” ed è importante farlo insieme, in modo condiviso. Così, l’ambientalista non dovrà più preoccuparsi delle ambizioni del costruttore, perchè entrambi avranno maturato una cultura, condivisa, del rispetto della montagna. Noi del Cai lavoriamo perchè questo sogno diventi presto realtà».
Paolo Ferrario – Avvenire
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