Intervista a Patrizia Reitano, moglie del grande e indimenticabile artista italiano.

Da il 14 febbraio 2009

minoreitano1uw7 Intervista a Patrizia Reitano, moglie del grande e indimenticabile artista italiano.“Vi racconto Mino, l’uomo che parlava alla pioggia suonando al violino l’Ave Maria di Schubert”

Basta aprire una pagina a caso del Vangelo per sapere come Mino Reitano è stato giudicato dal Signore quando ha rimesso l’anima nelle Sue mani. ‘Beati i miti’, dice Gesù, ‘perché di essi è il Regno dei Cieli’; ‘Beati i misericordiosi’, aggiunge, ‘perché troveranno misericordia’; ‘Beati i puri di Cuore’, è un’altra grandiosa promessa, ‘perché vedranno Dio’. Ma anche, ‘Beati gli afflitti, perché saranno consolati’. Ma consolarsi davanti alla scomparsa di un uomo come Mino? Il mistero del dolore avvolge l’anima di Patrizia, che di Mino è stata l’altra metà del cuore, se non il cuore stesso, come una tenaglia stringe un chiodo. Ma lei sa che il suo Mino ora è in Cielo, vigilia su di lei e sulle loro due amate figlie, e soprattutto sull’adorata nipotina Giulia, che disegna il nonno tra la luna e le stelle perché, dice, ‘adesso è un angelo’. E cosa potrebbe essere altrimenti Mino Reitano da Fiumara se non un angelo, cioè un giusto, un uomo che ha vissuto amando Dio, i propri cari e il prossimo? Nel Capitalo 25 di Matteo, la prova che questo grande artista, e ancora più grande uomo, dimora in Cielo: ‘Avevo fame, avevo sete, ero ammalato, ero forestiero, ero nudo…’. Gesù ci dice chiaramente che sarà questo per ognuno di noi iol criterio con cui ci giudicherà, ‘perché coò che avrete fatto al prossimo, lo avrete fatto a me’. E Mino Reitano, seguendo e rispecchiando un’altra virtù evangelico, ha davvero amato il prossimo come se stesso. Lo sa bene quella ragazza orfana di padre a cui regalò l’abito da sposa; lo sanno i ‘vu cumprà’ della spiaggia in cui andava a rilassarsi con la famiglia nei pochi giorni liberi d’estate, a cui andava lui stesso a comprare da mangiare e da bere; lo sanno i bambini degli Istituti pediatrici d’Italia che grazie alle sue offerte silenzione, hanno potuto curarsi con medicinali e apparecchiature nuove. Lo sa anche chi vi scrive, davanti al quale Mino regalò una sostanziosa somma di denaro ad un gruppo di rom affamati e cacciati in malomodo dal proprietario del ristorante in cui stava cenando; Mino non solo fece quella preziosa opera di carità, ma invitò al proprio tavolo i piccoli stranieri e al titolare del locale, situato in un paesino della Calabria, disse: ‘Un vero calabrese non ha mai cacciato uin affamato’. La generosità di Mino non conosceva ostacoli e limiti. Chi lo sa meglio di tutti è chi a quel cuore ha aggiunto tanti bellissimi battiti, Patrizia, che ha concesso in esclusiva al nostro giornale un’intervista sul per raccontare il Mino privato (che poi, in fondo, non era diverso da quello pubblico) e il suo legame con la Fede, anche alla luce del testamento spirituale che Mino volle concedere a noi nel bel mezzo della malattia che lo ha strappato alla vita ma non all’eternità e all’amore di milioni di fans in tutto il mondo. Parole ricche di amore per Gesù e Maria, e per la Famiglia, la sua Chiesa domestica, che, come annuncia la stessa signora Patrizia, “verranno riportate sulla prece e in calce alla sua tomba nel cimitero di Agrate Brianza”. E ogni prece con il testamento spirituale di Mino sarà inviata alle svariate migliaia di persone che in queste settimane hanno voluto far giungere il segno del loro cordoglio ai congiunti dell’artista italiano più amato dagli italiani nel mondo, dovunque essi si trovino.

Dunque, signora Patrizia: come nasce la Fede di Mino?

“E’ qualcosa che ha portato con sé sin dall’infanzia ed ha conservato e accresciuto malgrado le dolorose circostanze della sua adolescenza, come la prematura scomparsa della giovanissima mamma e della sorella di 21 anni, la prima voce, di cui poi prese il posto, della banda musicale di famiglia. Una Fede che non è mai venuta meno in tutta la sua vita e che lo ha aiutato e sostenuto in maniera determinante anche durante la malattia”.

Una Fede che non lo ha fatto mai disperare, nemmeno quando ha dovuto lasciare l’amata Calabria alla ricerca di un lavoro nel campo musicale.

“E’ vero, Mino non si è mai arreso. Sin da piccolo si è esibito, com’era tradizione al Sud, a matrimoni, feste di piazza, piccole cerimonie; la strada verso il successo e la notorietà gliela aprì un amico di Battipaglia, Mariano Castellano, anch’egli scomparso da poco, che lo accolse in casa sua, gli regalò un pianoforte e, durante un viaggio a Napoli, gli procurò l’occasione per entrare a far parte di una band che avrebbe dovuto esibirsi in Germania. Mino ha sempre ricordato con commozione e riconoscenza l’aiuto di questa persona che, pur senza conoscerlo, lo aveva accolto e amato come un figlio. Prima che Mino partisse, Mariano gli chiese: ‘Promettimi che resteremo amici’. Mino, naturalmente, lo promise ed ha mantenuto la parola. Sono rimasti amici in terra, ora lo sono anche in Cielo”.

La Germania, comunque, fu solo un crocevia verso il successo.

“Già. Mino dovette faticare e sudare non poco. Lui era cresciuto in Italia, al Sud, in Calabria, una regione calda, circondato dall’affetto dei fratelli; lì, in Germania, era solo, viveva in una pensioncina in cui doveva dividere la stanza con altri sei stranieri e affrontava grossi sacrifici, priovandosi anche del cibo, pur di mantenere se stesso lì e di inviare ogni mese un po’ di denaro a casa per aiutare la famiglia. Poi, col tempo, iniziarono a raggiungerlo i fratello, riformarono la loro band e incrociarono, come è noto, quelli che sarebbero diventati i famosi Beatles”.

Anche dal racconto di questa storia appare l’immenso altruismo di Mino.

“Era di un altruismo disarmante. Sa, durante i trent’anni vissuti accanto a lui, ho conosciuto molti personaggi del mondo dello spettacolo. Ecco, non vorrei generalizzare, ma quasi tutti avevano come una doppia personalità: apparivano in un modo davanti alle telecamere, forse per accattivarsi il pubblico, e in un altro in privato. Mino invece no. Nella vita di tutti i giorni era esattamente come lo vedevate in Tv o ai concerti: sorridente, allegro, sempre di buon umore. Non sapeva fingere, era trasparente con tutti e in qualsiasi circostanza”.

Mino Reitano ha dato tanto, tantissimo al mondo della musica; ma il mondo della musica lo ha saputo ricambiare. E quale è stata la sua più grande delusione. Forse non aver vinto mai Sanremo?

“Mino ha ricevuto da questo ambiente grandi gioie ma anche grandi amarezze. Negli ultimi anni, con insistenza e con la pacatezza che lo contraddistinguevano, ha chiesto invano, come hanno fatto tanti altri colleghi, di poter condurre in Rai uno show a puntate sul romanzo della sua vita. Perché la sua vita tale è stata: uno stupendo romanzo. Eppure questa gioia non gli è stata mai concessa. L’ultima volta che ne abbiamo parlato è stato pochi giorni prima della sua morte, e il dispiacere era ancora tanto. E’ stata questa la sua delusione maggiore, no Sanremo”.

Come si spiegava e come si spiega Lei questo rifiuto?

“Non ce lo siamo mai spiegati: una ragione valida per dirgli di no, non c’era. Mino ha sempre fatto registrare i picchi d’ascolto più alti nella storia di tutti i programmi televisivi a cui ha partecipato, compreso quel Sanremo in cui si esibì un venerdì sera come ospite – la conduttrice era Simona Ventura – e al termine della sua esibizione ricevette una vera e propria standing ovation dalla platea dell’Ariston, con il direttore generale Cattaneo e il direttore di Rai Uno Del Noce che gli facevano segno di continuare a cantare. Furono i minuti più seguiti, dati Auditel alla mano, di tutta la storia di Sanremo. Ciò per dire che Mino era uno che faceva ascolti, e per questo non si è mai capito perché non gli abbiano fatto condurre questo show”.

Un altro mistero resta la severità della critica: non gliene hanno mai perdonata una. Ma lui, nell’intervista concessa a noi di ‘Petrus’, disse di aver perdonato tutti coloro i quali gli avevano fatto del male. Che si riferissi proprio ai critici musicali?

“Penso di sì. Non l’hanno mai amato troppo e sono sempre stati molto prevenutio nei suoi confronti. C’erano anni che lo bocciavano prima ancora di ascoltare il brano con cui si sarebbe esibito a Sanremo. Come me lo spiego? Mino era un maestro d’umanità e di spettacolo, un uomo capace come nessuno di coinvolgere le folle, una persona perbene e trasparente, non un personaggio da ‘gossip’ pronto a farsi fotografare chissà diove e chissà con chi per fare il gioco della stampa. Forse per questo la critica è stata prevenuta verso Mino. Fatto sta che chi ieri lo denigrava con prevenzione, oggi ne fa l’elogio postumo: forse è troppo tardi…”.

Invece all’estero era amatissimo.

“E’ vero. Ho visto migliaia di nostri connazionali piangere ai suoi concerti. In lui, che come loro aveva fatto tanti sacrifici e aveva dovuto emigrare alla ricerca di una vita migliore, identificavano l’Italia, la loro vera casa”.

Quali sono stati gli amici più importanti di Mino Reitanio nel mondo dello spettacolo?

“Tra i tanti, senza voler fare un torto agli altri, cito Little Tony, Adriano Celentano, Gianni Morandi e Massimo Ranieri. Proprio con questi ultimi due avrebbe voluto formare un bel trio. Si vedevano poco ma si sono sempre voluti bene e rispettati”.

Suo marito è piaciuto, piace e piacerà a diverse generazioni…

“Ciò non accade solo per quanto riguarda il pubblico. Anche nell’ambiente c’erano artisti di ‘carattere’ e ‘generazioni’ diverse che lo stimavano molto. Penso a Vasco Rossi o a Jovanotti, che una volta lo incrociò per strada a Milano, scese dall’auto e un altro po’ rischiò di essere investito pur di attraversare la strada e abbracciarlo”.

Qual era il rapporto di Mino con il denaro?

“Sarò sintetica: il denaro per Mino era qualcosa da dividere e condividere con gli altri, con il prossimo, con chi aveva bisogno, con gli amici”.

Torniamo al capitolo della Fede: Mino adorava Gesù e Maria in modo straordinario, e a loro, come aveva raccontato ai nostri taccuini, aveva offerto la sofferenza e i dolori della malattia che lo ha poi strappato alla vita terrena.

“Mino aveva un’agendina in cui al termine di ogni giornata, prima di andare a letto, scriveva: ‘Gesù e Maria, confido in voi, grazie del vostro aiuto’. Ciò è avvenuto da sempre, da quando ci siamo conosciuti. La sua Fede era reale, genuina, pura proprio come lui. Proprio grazie a questa Fede e al calore di noi familiari, ha affrontato la malattia in modo esemplare, senza lamentarsi mai e offrendo tutto ai piedi della Croce”.

Insieme avete effettuato tanti pellegrinaggi…

“Già, mi sembra ieri… Siamo stati spesso, spessissimo, a Pietrelcina e a San Giovanni Rotondo, sulle orme di Padre Pio, che peraltro io conoscevo sin da piccola, quando la sua fama non era ancora estesa in tutto il mondo, perché mio padre, giornalista, era direttore del Giornale di Foggia e si recava spesso dal Frate con le stimmate; pensi, era presente addirittura il giorno in cui ci fu la posa della prima pietra della ‘Casa Sollievo della Sofferenza’. Ma è di Mino che voglio parlare… Era devoto e amava in modo particolare San Francesco di Paola. Si è recato tante volte in preghiera sulla sua tomba e ricordo che qualche anno fa si parlò della possibilità che proprio Mino potesse interpretare questo Santo in una Fiction. ;a il progetto sfumò e non se ne fece più nulla”.

Osiamo chiederLe un aneddoto sconosciuto relativo alla Fede di Mino…

“Risponderò volentieri. Quando pioveva prima o dopo una sua serata durante le caratteristiche feste patronali italiane, prendeva il violino, il suo primo amore musicale, e davanti a tutti – orchestrali, pubblico, autorità – suonava l’Ave Maria di Schubert per far smettere di piovere e poter riprendere così normalmente l’esibizione. Lui lo diceva apertamente: ‘Cari amici, ora pregherò la Madonna perché non cada più la pioggia’. Le pesone si guardavano incredule, ora questo racconto sembrerà assurdo anche a voi, ma Mino iniziava a suonare l’Ave Maria e, incredibilmente, smetteva di piovere. Non c’avrei creduto neanche io se non avessi assistito di persona a questi episodi”.

Poi ci sono gli incontri con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

“Per Mino si trattò di due eventi assolutamente importanti, tra i più belli della sua vita. Dunque, era il 2001 quando incontrò Giovanni Paolo II, al quale ricordò di essersi ebito davanti a lui quando era ancora l’Arcivescovo di Cracovia. Nel Luglio del 2006, l’Udienza concessa da Benedetto XVI alla Nazionale di Calcio degli artisti, di cui Mino faceva parte. E i compagni di squadra delegarono proprio lui a rappresentarli. Mino stava già male, aveva dei forti dolori, ma si pensava che fossero dei malanni di tipo infiammatorio causati dalle grandi sudate che faceva sui palchi, dove non si risparmiava davvero mai. Anche incontrando Benedetto XVI, naturalmente, Mino non volle smentire la sua generosità. Ricordo che parlarono quasi un quarto d’ora – un lasso di tempo che il Santo Padre concede appena a qualche Capo di Stato – e alla fine dell’incontro, i cui dettagli mio marito vi ha già raccontato nella sua ultima intervista, anziché chiedere una benedizione particolare per sé, chiese al Papa di benedire la foto di un ragazzo di Agrate Brianza gravemente malato. Oggi quel ragazzo sta bene…”.

Qual era il rapporto di Mino con la famiglia?

“Lui era tutto per noi e noi tutto per lui. Ci amava e lo amavamo in un modo davvero indescrivibile. Era la nostra vita. E ora ci manca, ci manca tanto. Sappiamo che è in Cielo e da lì continua a volerci bene, ma non è semplice superare questa dolorosissima fase. Io e lui, poi, vivevamo in simbiosi, eravamo come una persona sola. Lo ha detto e ripetuto in ogni sua intervista, anche quella indimenticabile concessa a voi di ‘Petrus’: era la Famiglia il dono più bello che avesse ricevuto”.

Signora Patrizia, l’ultimo ricordo di Mino…

“Un paio di giorni prima che morisse era già in uno stato comatoso: non apriva gli occhi, non parlava, non dava alcun segno di vita, tranne il respiro. Ad un certo punto, nostra nipote Giulia si avvicinò al nonno e gli fece una carezza. Mino si voltò lentamente, vide la bambina e una lacrima bagnò il suo viso di uomo giusto pronto a tornare alla Casa del Padre”.
Gianluca Barile

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