La legge 40 è salda basta propaganda. Intervista al sottosegretario Roccella

Da il 3 aprile 2009

87a1d09309ab3c12782d45876d62a267 La legge 40 è salda basta propaganda. Intervista al sottosegretario RoccellaMarina Corradi - Avvenire

«La sentenza della Consulta non smantella i principi del­la legge 40. E gli accenti di trionfo dei suoi avversari sono una evi­dente forzatura. Si afferma che è stato e­liminato il limite alla produzione degli embrioni. Ma, dal momento che – os­serva all’indomani della sentenza della Consulta, il sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella – rimangono in vigo­re gli altri punti della legge che ne vieta­no la crioconservazione e la soppressio­ne, così come resta il divieto di ogni pra­tica eugenetica, e vige la prescrizione di produrre il numero di embrioni stretta­mente necessario, mi chiedo che cosa concretamente dovrebbe cambiare, da oggi, nella fecondazione assistita in Ita­lia ».

 Ma la Consulta ha pure affermato la in­costituzionalità del limite dei tre em­brioni.
La sentenza va interpretata per quel che dice, alla lettera. E cioè si è detto che lo stabilire quanti embrioni produrre, è co­sa che spetta al medico e non al legisla­tore; e che tutto va fatto nell’interesse della salute della donna. Dal momento però che come ho detto gli embrioni non possono essere né crioconservati né sop­pressi né selezionati, nella pratica non si comprende cosa venga modificato. An­che se capisco che la lettura che di que­sta sentenza è stata data, una lettura for­temente ideologizzata, può creare in­certezza e confusione.

C’è qualcosa che il ministero intende fa­re adesso?
Aspettiamo di leggere le motivazioni del­la sentenza. Nel frattempo la legge 40 re­sta quella che è, e i centri devono conti­nuare ad applicarla nella sua lettera e con prudenza. Ricordo che ad oggi re­stano in vigore le linee guida dell’ex mi­nistro Turco, che contengono l’esplicito divieto di diagnosi prenatale sull’em­brione.

Intanto state lavorando alle nuove linee guida.
È ancora prematuro parlarne. È noto però che le linee guida dovranno attua­re il decreto 191, cioè la direttiva europea che riguarda la pratica dei centri che con­servano cellule e tessuti umani. Poiché ora anche i gameti rientrano fra i “tessu- ti” contemplati in questo testo, dovremo mettere in atto nuovi e maggiori control­li delle procedure.

Secondo lei in Italia è necessario un mag­giore controllo dei centri che applicano la legge 40?
Più che di controllo parlerei di verifica. La direttiva europea comporterà criteri omogenei e validi per tutti da fare rispet­tare. Occorrerà stabilire anche elementi di tracciabilità statistica di ogni trattamen­to di fecondazione. Mi auguro che que­sto porterà a una maggiore trasparenza dei risultati, perché si possa dare alle don­ne informazioni precise su cosa ogni cen­tro fa, e con quali percentuali di succes­so. Risulta infatti dalla Relazione sulla leg­ge, appena presentata in Parlamento, che la pratica clinica fra i centri è molto diffor­me, se in alcuni la percentuale di gravi­danze trigemellari è dello 0 per cento e in altri addirittura del 13. Occorre che le donne siano a conoscenza dei risultati degli istituti cui si rivolgono.

Sul tasso di gravidanze trigemine, più al­to che in Europa, la legge è stata attac­cata.
Bisogna leggere bene i dati e confrontar­li. In Spagna, dove la percentuale dei par­ti plurimi appare più bassa, è elevatissi­mo il numero di aborti selettivi, cioè gli embrioni di troppo vengono soppressi. Invece, e pochi lo hanno segnalato, il tas­so di sindrome di iperstimolazione ova­rica in Italia è la metà di quello europeo. E questo è dovuto proprio al nostro limi­te della produzione di tre embrioni. In Gran Bretagna ci sono pazienti che pro­ducono anche 120 ovociti per ovulazio­ne: ha idea di che quantità di ormoni oc­corra per questi risultati, e con quali ri­cadute sulla loro futura salute?

Il coro degli attacchi non è venuto solo dai radicali o dalla sinistra. Anche il pre­sidente della Camera Gianfranco Fini ha detto che la legge 40 è basata su dogmi di natura religiosa, e che «questa sen­tenza rende giustizia alle donne».
Temo che il presidente Fini sia caduto nel­lo stesso equivoco in cui ieri sono caduti in molti. Intanto, perché la sentenza non ha introdotto alcuna modifica sostanzia­le alla legge. Poi, perché non è affatto in gioco la laicità, anche visto che la 40 non è una legge cattolica. È una legge invece contro cui c’è un attacco ideologico con­centrico, e una propaganda massiccia. E questo anche dopo un referendum che ha visto il tasso di astensione più alto del­la storia della Repubblica. L’astensione, per un referendum, è peggio della scon­fitta: significa che la domanda posta è stata ritenuta inutile dagli elettori. Pure, dal 2005 continua la batta­glia, e i ricorsi: il fatto è che dietro questa legge stanno molti interessi economici. Credo insomma che Fini sia stato vittima di questa pro­paganda. Una «sentenza che rende giustizia alle donne»? Ma se la legge ha impedito quel commercio che oggi mette a rischio la salute del­le giovani “donatrici” di ovo­citi. Che nell’Est, e non solo, vengono riempite riempite di ormoni per una manciata di euro. La salute delle donne non si tutela permettendo tutto. Né ob­bedendo a quel desiderio di maternità a ogni costo che le rende esposte ai rischi di una medicina senza scrupoli. «La lettura della sentenza fortemente ideologizzata può creare confusione»

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