Parma 8 dicembre 2013 - Miei carissimi amici ! Prima di ripartire per il Congo, dopo questi…
Suor Delia Guadagnini, prima di ripartire per il Congo, condivide la sua esperienza missionaria venerdì 14 novembre ad ore 20.30 nell’aula magna dell’oratorio di Predazzo, siete tutti invitati.
Riportiamo un articolo del Messaggero che racconta la drammatica situazione dei bambini soldato in Congo:
GOMA (10 novembre) – Ha imparato a uccidere a 14 anni. Un giorno i guerriglieri ribelli del Generale Laurent Nkunda se lo sono portato via nella giungla per insegnargli a sparare. E’ il 2006. Biko riesce a scappare, si rifugia in un centro di recupero, ritorna dalla sua famiglia. Si strappa l’uniforme da soldato per ritornare un semplice ragazzo. Lo scorso agosto riesplode conflitto e i guerriglieri lo riacciuffano. E’ fuggito nuovamente una settimana fa. Oggi ha quasi 16 anni e vive recluso nel centro, protetto da un nome di fantasia per non ripiombare all’inferno una terza volta.
Guai a rivelare i veri nomi degli ex-bambini combattenti custoditi segretamente a Goma, capoluogo del Nord-Kivu, e dintorni. Cadrebbero nel mirino dei miliziani che li considerano preziosi quanto i diamanti e l’oro commerciati illegalmente per finanziare la guerra che sta devastando la provincia orientale del Congo.
«A fine estate la Caritas a Masisi, l’area controllata da Nkunda, è stata attaccata dai gueriglieri. Sapevano che ci avrebbero trovato dentro potenziali baby-killers», afferma Giulia Pigliucci del Vis (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo). Il rapimento dei bambini è stato sventato solo grazie a un tempestivo intervento della Monuc, la missione di pace Onu.
«La ripresa delle ostilità ha fatto schizzare il numero delle giovani reclute», ammette Leopold, responsabile dell’ufficio protezione minori della Monuc. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, pubblicato a ottobre, in Congo combattono 11 mila piccoli soldati. Prima delle estate ne erano solo 3 mila stando alle statistiche di Human Rights Watch. I dati raccolti sul campo dalle Ong del Nord Kivu indicano che dallo scorso agosto solo nei 4 principali centri di addestramento del Cndp (Congresso nazionale per la difesa del popolo) di Nkunda sono stati trascinati almeno 160 bambini. I centri sono generalmente allestiti dentro le scuole: i bambini chiudono i libri e aprono il caricatore dei kalashnikov.
E’ capitato ai 30 scolari tra i 12 e i 17 anni di Bitonga, 35 km da Goma: un’intera classe trasformata in plotone. «A settembre, non appena è iniziato il nuovo anno scolastico, i miliziani si sono fiondati nelle aule per prelevare i bambini», racconta Joseph Paluku Mungosy, segeretario della coalizione delle Ong del Nord Kivu, «Molte scuole hanno chiuso per non esporre i bambini. Vicino a ciascuno dei centri di addestramento ci sono postazioni della Monuc ma questa resta con le mani in mano – accusa Mungosy - prende in cura i bambini quando si liberano da soli, ma raramente interviene per sottrarli ai miliziani».
«Con gli ultimi sfollati sono arrivati oltre 30 bambini-soldato» afferma la coordinatrice di una struttura d’accoglienza. Ma ai baby killers la fuga non basta per rifarsi una vita normale. «Affinché possano essere reinseriti nella società i ragazzi hanno bisogno di un certificato di smobilitazione», spiega Trudon Tshibangu, operatore al Centro Don Bosco di Ngangi che negli ultimi anni ha recuperato centinaia di ex-piccoli combattenti insieme ad altri bambini di strada.
«Quelli che non vengono smobilitati ufficialmente rischiano di essere arrestati e torturati dalla polizia come spie nemiche». A reclutare bambini, oltre al Cndp, sono tutti gli altri gruppi armati, soprattutto le molteplici milizie Mai Mai che ne “possiedono” complessivamente 1.300. Anche l’esercito governativo ha assorbito diversi minorenni nei suoi ranghi. A giugno se ne contavano 20. Così svanisce il divieto di usare minori imposto a tutte le fazioni in lotta dall’ormai infranto accordo di pace firmato a gennaio. Ma non sempre il bambino è arruolato con la forza. Gli orfani, i bimbi separati dai genitori o quelli poveri decidono spesso di imbracciare spontaneamente le armi. Per loro è l’unico modo di sopravvivere. E’ il caso di A., 16 anni, rwandese di etnia hutu.
La madre e’ stata uccisa durante i massacri in Rwanda del ’94, il padre è in prigione con l’accusa di genocidio. Lui, tuttavia, rientra tra i fortunati : anziché finire ammassato in un centro di transito gestito dall’Unicef, è stato affidato provvisoriamente a una famiglia che se ne prenderà cura in attesa di poterlo rinviare dai suoi genitori.
8 novembre 2008 – Il cessate il fuoco in vigore da una decina di giorni nel Nord Kivu (la regione orientale della Repubblica Democratica del Congo sconvolta dalla ripresa del conflitto) è stato ripetutamente violato nelle ultime ore.
La recrudescenza degli scontri armati ha conseguenze particolarmente gravi, perché interviene nel momento in cui la diplomazia sta tentando di mediare tra le parti in lotta e perché colpisce una popolazione disperata e stressata da anni di violenze e privazioni.
Ieri mattina, ad esempio, è bastato udire colpi di arma da fuoco nei dintorni del campo profughi di Kibati, poco fuori Goma, per indurre migliaia di sfollati ad abbandonarlo in fretta e furia, cercando scampo nella città.
«Quanto accaduto fa capire quanto la gente qui sia ormai in crisi» spiega Jaya Murthy, membro dello staff UNICEF a Goma. «Molti stanno affrontando un esodo angosciante non per la prima, ma per la quinta o sesta volta in questi anni.»
Nel campo di Kibati, l’UNICEF aveva appena iniziato una campagna di vaccinazioni contro il morbillo per i 13.000 bambini ospiti del campo. Ora che molte delle famiglie con bambini sono fuggite a Goma (meta di gran parte dei quasi 300.000 sfollati delle ultime settimane), il programma di vaccinazioni è stato giocoforza sospeso.
«Semplicemente non sappiamo cosa sta accadrà, non dico da un giorno all’altro, ma addirittura di ora in ora» ha aggiunto Murthy.
Questo articolo è già stato letto 4707 volte!