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Come accade in ogni occasione del genere, le lobby abortiste intendono sfruttare questo momento per far inserire negli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite i cosiddetti “servizi sessuali e riproduttivi” (un giro di parole per definire l’aborto) e quindi per ottenere la maggior quantità possibile di finanziamenti da parte dell’ONU.
Si tratta di un progetto di dimensioni mastodontiche che non può lasciare indifferente chi ha a cuore il diritto alla vita e la dignità di ogni essere umano dal momento del concepimento. Oltretutto, questo disegno è portato avanti strumentalizzando l’emergenza della mortalità e delle malattie conseguenti al parto e propagandando informazioni distorte e faziose. L’aborto viene considerato un rimedio efficace alle morti di parto, ma questo è completamente assurdo, in quanto questa pratica semmai causa ulteriori potenziali rischi per la salute fisica e psichica della donna. Le strategie che andrebbero adottate a livello globale per combattere la mortalità e le complicazioni post-parto sono le stesse che servirebbero a porre rimedio a numerose infezioni e patologie che insorgono dopo l’aborto e sono ben note: acqua e servizi igienici, istruzione, migliori cure, personale medico competente, migliori infrastrutture, accesso a farmaci. Come dimostra l’esempio di Paesi come il Cile e l’Irlanda, in cui l’aborto non è legale e che sono in prima linea nella tutela della salute delle donne in gravidanza, la legalizzazione dell’aborto non può in alcun modo portare migliorare le condizioni sanitarie delle donne.
In secondo luogo, bisogna sottolineare che le organizzazioni abortiste vogliono portare avanti le proprie inaccettabili strategie grazie alle tasse dei contribuenti. Questi gruppi di pressione ricevono già miliardi di euro da governi, corporation e grandi finanziatori (il che è già abbastanza agghiacciante). Se l’aborto fosse inserito tra gli obiettivi di sviluppo per il 2015, queste lobby potrebbero godere di ulteriori sovvenzionamenti da parte delle Nazioni Unite. Nonostante tutti i problemi dei Paesi sottosviluppati (carestie, malattie, povertà, scarsa alfabetizzazione, crisi economiche, mancanza di acqua e così via), si chiede ai governi nazionali (o meglio, ai cittadini, quindi ad ognuno di noi) di finanziare queste potenti lobby per altri miliardi di euro. Affermare che la diffusione dell’aborto è una priorità per i Paesi sottosviluppati è un’assurdità che può essere dettata solo da interessi economici.
Purtroppo, questo disegno viene condotto su scala globale, considerando la maternità come una malattia e facendo passare l’aborto per una misura di progresso a cui tutte le donne del mondo dovrebbero poter accedere. Anziché seguire le indicazioni ideologiche dei promotori dell’aborto, le Nazioni Unite dovrebbero ascoltare con attenzione le parole di papa Francesco, che nell’ultima enciclica Evangelii Gaudium si è espresso in modo categorico sulla questione delle interruzioni di gravidanze critiche: “non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana”.
Tutte le firme raccolte saranno consegnate personalmente agli ambasciatori presenti a New York, compreso quello italiano, dai delegati di CitizenGO, che avranno la possibilità di chiedere loro direttamente di spendersi per far sì che l’aborto non sia inserito tra gli obiettivi di sviluppo per il 2015. Le trattative inizieranno il prossimo 10 marzo, ma i nostri addetti saranno presenti a New York già a partire dai giorni precedenti. Con questa iniziativa speriamo di raggiungere almeno 100.000 firme entro il prossimo 6 marzo: si tratta di un obiettivo ambizioso, ma spero davvero che anche tu, se lo riterrai giusto, vorrai spendere pochi secondi del tuo tempo nel sottoscrivere questa petizione (http://www.citizengo.org/it/4834-laborto-non-e-un-obiettivo-di-sviluppo), per difendere il diritto alla vita di tutti gli esseri umani e per opporti alle strategie globali delle lobby pro-aborto.
Mentre l’uomo manda le sonde su Marte nella speranza di trovare delle tracce primordiali di vita, sul pianeta Terra si lavora alacremente per diffondere sempre più la cultura della morte.
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