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Adesso non è più solo la terra a tremare all’Aquila, ma anche imprenditori, progettisti e chi, negli anni ’70, effettuò il calcolo del cemento armato per alcuni degli edifici crollati sotto i colpi del terremoto. A far correre un brivido lungo la schiena di titolari di imprese edili tra le più note del capoluogo abruzzese sono state le dure parole del capo della procura aquilana. Alfredo Rossini, infatti, l’altro giorno è stato chiaro: per far luce sul disastro, l’inchiesta potrebbe partire direttamente dalla richiesta della custodia cautelare. E il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, lancia l’allarme: appalti trasparenti per evitare le infiltrazioni mafiose. Sul fronte dell’inchiesta locale, arresti, sì, spiega Rossini, per evitare l’inquinamento delle prove più che il tentativo di fuga o la reiterazione del reato di chi ha avuto a che fare con la realizzazione di fabbricati venuti giù come castelli di sabbia dopo la spallata del sisma, la notte del 6 aprile.
Le ipotesi di reato sono disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Il fascicolo, per ora aperto contro ignoti, è nelle mani del pubblico ministero Fabio Picuti, al quale il procuratore capo avrebbe chiesto di valutare ogni elemento con la massima attenzione. Per questo appare passo obbligato il sequestro di quel che resta della Casa dello studente e così pure dell’ala più danneggiata dell’ospedale San Salvatore, ma anche di altri fabbricati pubblici divenuti il simbolo dell’incuria e della mancata prevenzione di fronte all’elevato rischio sismico della zona. La sensazione è che molte delle vittime di otto giorni fa, insomma, avrebbero potuto salvarsi se tutti avessero fatto per intero il proprio dovere. A cominciare dalla qualità del calcestruzzo e dalle tecniche realizzative, per non parlare dei controlli e delle verifiche statiche sugli edifici. Il pm Picuti si avvale nel suo delicato lavoro di un pool di esperti composto da una dozzina di tecnici, ingegneri, geologi, chimici ed esperti di costruzioni, affiancati da una trentina di carabinieri della sezione di polizia giudiziaria del Tribunale.
L’ordine per tutti è accertare eventuali responsabilità penali, andando a spulciare tra le carte che hanno segnato l’iter realizzativo fin dall’inizio, accertando attraverso campionature del materiale recuperato se qualcuno si è reso responsabile di colpevoli omissioni o, peggio, ha speculato sui materiali. Impastando il cemento anche con paglia e sabbia di mare, come addirittura ventilato mentre i soccorritori lottavano ancora contro il tempo nel tentativo di estrarre qualcuno vivo dalle macerie. Dai primi riscontri acquisiti dalla procura, le dichiarazioni di universitari sopravvissuti alla catastrofe, ma anche da valutazioni a caldo di architetti e ingegneri, dubbi e perplessità sembrerebbero non campati in aria. Specie se abbinati a foto e immagini di quei pilastri messi a nudo dal sisma dove i ferri dell’armatura erano lisci e non zigrinati, tali dunque da non garantire la necessaria presa del cemento. Un compito non facile, d’altronde, quello degli investigatori, ai quali gli addetti ai lavori prossimi all’incriminazione potrebbero opporre di tutto, dalle normative meno rigorose dell’epoca ai collaudi successivi delle strutture.
Ecco perché nell’inchiesta potrebbero finire anche coloro che hanno avuto a che fare con il livello successivo dei controlli o che, le opportune verifiche non hanno mai fatto o fatto male. I magistrati aquilani vogliono far presto: troppo duro il richiamo di Antonietta Centofanti, zia di Davide, 19 anni, l’ultimo degli universitari ad essere estratto senza vita dalla Casa dello studente: «Vogliamo giustizia, lì dentro sono morti ragazzi meritevoli e bisognosi, figli di gente povera. È un Paese incivile quello che non garantisce la sicurezza ai propri figli, che li manda a morire mentre sognano un futuro diverso. È soprattutto per loro, per quelle giovani vite spezzate, che la procura dovrà fare chiarezza. E se qualcuno ha sbagliato dovrà pagare».
Dalle prime verifiche, frattanto, è emerso che il 30% degli edifici sono inagibili, il 50% agibili e il 20% parzialmente inagibili ma su questi si potrà intervenire con interventi minimi. «Al momento – ha spiegato il dirigente della Protezione Civile, Titti Postiglione – si è proceduto seguendo un unico criterio: cinturare i centri storici, dell’Aquila e dei paesi della provincia che hanno subito i danni maggiori e rimandare a un secondo momento le verifiche su queste zone, mentre si è iniziato dalle strutture delle zone periferiche e semicentrali del capoluogo abruzzese e degli altri centri».
Gianni Quagliarella
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